(Estratto de Gli Arrabbiati di Roberto Sommella, La Nuova Europa Edizioni)

Se c’è un comune denominatore all’Unione di oggi è la sorda insoddisfazione, la rabbia, il senso di impotenza che molti cittadiniprovano di fronte agli effetti della globalizzazione. Vittima di egoismi e nazionalismi di ogni genere, l’Ue è un puzzle impazzito in preda agli umori dei nazionalisti quali Matteo Salvini, Viktor Orban e Marine Le Pen. Gli arrabbiati ormai sono milioni di persone e non ne possono più di Bruxelles, degli immigrati e dell’euro. È il momento di capire perché accade tutto questo, partendo da una mappatura della situazione economica, paese per paese, che anticipa sempre le mutazioni sociali. 

Se ancora nel 2018 il 22% degli italiani vuole tornare alla lira non si tratta di matti visionari. Il nodo cruciale è semplice: l’Italia emette debito in una moneta che non controlla. E il cambio dell’euro non ha aiutato. Se alcuni beni hanno fatto registrare negli ultimi sedici anni riduzioni e altri sono rimasti stabili, molti generi di largo consumo, sempre presenti nel paniere delle famiglie, sono diventati più cari. Una pizza, un chilo di pasta, un chilo di vitello in fettine, persino il tramezzino e il pane, hanno subito aumenti vicini al 100%, tolta l’inflazione. A volare è stato anche il mattone: se i tassi sui mutui si sono dimezzati dal 2002 in poi, prezzi e affitti sono rincarati due volte tanto. Milioni di italiani, per mancati controlli nel periodo di doppia circolazione, per arrotondamenti preventivi, per assenza di sostegni alla perdita di potere d’acquisto, con la moneta unica si sono davvero impoveriti. Schiacciata tra l’austerity imposta da Bruxelles, l’avvento della tecnologia digitale e la perdita di potere d’acquisto, una bella fetta del nostro paese è così rimasta indietro rispetto al resto d’Europa a inizio millennio e poi con la crisi dal 2008 si è inabissato. 

Un giro per gli altri paesi europei, mostra analoghe complessità. 

Entrando nel cuore dell’Europa storica, le cose non cambiano e le differenze restano enormi. La Spagna, come l’Italia, nel 2011 ha visto il baratro. Si è rialzata con 52 miliardi di aiuti al suo sistema bancario, ma in dieci anni i senza lavoro sono raddoppiati e il debito quasi triplicato (da 36 al 96% del Pil). Si è salvata grazie all’Ue e ora prova a ricambiare tendendo la mano sui profughi, dopo aver chiuso per anni, armi in pugno, porti e frontiere. La Francia di Emmanuel Macron predica bene alla Sorbona ma razzola male nei rapporti con gli altri paesi. Pur avendo un debito molto alto (63% nel 2008 e ora al 96%), una disoccupazione in crescita (9,2% da 7,5% di dieci anni fa) e un’economia presidiata dallo Stato, continua ad avere un voto da prima classe dalle agenzie di rating. Ma il direttorio Parigi-Berlino, che ha goduto di grande benevolenza quando era sopra il tetto del 3% di deficit, scricchiola. 

 

L’Unione di oggi alimenta il sospetto che abbia fatto bene chi è rimasto fuori dalla moneta unica ovvero, pur essendoci entrato, se ne sia poi infischiato delle regole. Fiscal Compact e altre norme contabili, come visto, hanno contribuito a far crescere i paesi europei in maniera disomogenea, e ora gli argomenti che fanno più presa sono l’identità, la difesa dei confini, la supremazia della cittadinanza. 

Sicuramente le tante manchevolezze dell’architettura comunitaria che spesso prestano il fianco alle critiche anche del più fervente degli europeisti, sono alla base di un processo inarrestabile: una nuova autodeterminazione delle convinzioni personali. Su accoglienza, razzismo, xenofobia e persino storia dell’Unione si è ormai diffusa una neonata coscienza, sviluppata in rete, che si potrebbe definire “ignoranza artificiale”. Così come l’intelligenza robotica offre oggi spazi innovativi quasi illimitati, la decostruzione del sapere che avviene sul web attraverso mirate iniziative di disinformazione lascia sgomenti e genera milioni di potenziali eversori che a quel punto non hanno più bisogno di sfogliare un libro o un giornale.

Si prenda il caso emblematico degli immigrati, da mesi al centro delle polemiche politiche per l’azione decisa del ministro degli Interni Matteo Salvini. Secondo i dati Eurostat, in Italia la popolazione straniera residente è di poco superiore al 6% del totale e ben sotto la media europea, così come le richieste d’asilo nel nostro paese sono inferiori al 7%, ma ciononostante la “percezione” di questa quota sale oltre il 24% perché due italiani su tre sono convinti di assistere ad un’invasione, vittime di una minaccia fantasma smentita dagli stessi numeri del Viminale che da mesi mostrano un crollo degli sbarchi quest’anno. Come sia potuto accadere che delle statistiche abbiano generato delle opinioni così diverse non è chiaro ma gli effetti possono essere devastanti. Se il 70% dei nostri connazionali sono convinti di avere un immigrato su quattro come concittadini la logica conseguenza, ad ogni barcone in mare, è l’acuirsi delle pulsioni sociali. 

E la rabbia accende il falò dell’intolleranza.