La Brexit si è trasformata in un fantastico spot europeista. Nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Tutti gli osservatori, inclusi autorevoli premi Nobel, avevano preconizzato una rapida implosione dell’Unione. Invece non è andata così. La storia è sempre più sorprendente degli uomini. E in dodici mesi, anche sotto la spinta di una nuova amministrazione americana isolazionista, l’Europa ha trovato la forza nei suoi sistemi democratici di respingere le pulsioni nazionaliste. A tutte le elezioni i partiti populisti, accreditati di successo, sono stati tenuti lontani dalle maggioranze di governo, l’euro, dato per morto più volte dal 2008 ad oggi, resta una moneta stabile e accreditata nel mondo, i pur perfettibili meccanismi di politica economica comunitaria cominciano a dare risposte, soprattutto ai più giovani.
Questo non vuol dire che non ci sia ancora lavoro da fare tra i 27 paesi dell’Ue.
Manca ancora quella particella elementare che sveli il segreto dello stare insieme, spieghi la materia che tiene insieme l’unione.
Va smantellato il muro dell’Est e le spinte autonomiste del gruppo di Visegrad, che tanto è responsabile del blocco del sistema di ricollocamento dei migranti; occorre ripensare alcuni sistemi di vigilanza bancaria e completata la stessa unione creditizia con la tutela centrale dei depositi; va istituito un ministro del Tesoro europeo che emetta debito comune acquistabile dalla Banca Centrale Europea; il Fiscal Compact, nel momento in cui diventa trattato europeo, deve essere modificato nella parte in cui accentua i cicli economici negativi; Parlamento  e Commissione devono diventare ancora più autonomi dal Consiglio europeo e assumere una centrale potestà legislativa ed esecutiva. Infine, come chiedono le fasce più giovani della popolazione (vedi il caso della Dichiarazione di Ventotene) occorre riaprire il cantiere costituente dell’Unione, che non può restare senza una legge madre.
In questo momento storico, tutti i contributi delle donne e degli uomini di buona volontà europea, diventano quindi fondamentali.
E’ il caso del libro La comunità possibile di Laura Boldrini, presidente della Camera, ma soprattutto europeista convinta della prima ora, quell’ora in cui sarebbe stato più facile abbracciare solo il vessillo nazionale. Un volume il suo che racconta quello che può fare l’Europa come accoglienza, aiuti, solidarietà e vicinanza ai paesi che ci guardano come un paradiso irraggiungibile.
La stessa cosa si può dire per il saggio di Sergio Fabbrini, Sdoppiamento, che individua nella federazione di Stati il punto finale dell’integrazione, lasciando da parte il modello bilaterale che ormai non può più rispondere alle esigenze della contemporaneità complessa dell’Europa.
In questo contesto, chi meglio di un giurista come Giuliano Amato, può spiegare da dove ripartire per costruire l’Unione delle persone, dopo aver eretto quella dei regolamenti finanziari.
Come ho ricordato in Euxit, uscita di sicurezza per l’Europa, l’Unione ha il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% del Pil planetario e  produce il 50% della spesa di welfare totale: è il miglior posto dove vivere. Basta solo esserne consapevoli e mettersi in marcia.

(Estratto dell’introduzione di Roberto Sommella al dibattito con Laura Boldrini, Beatrice Covassi, Giuliano Amato e Sergio Fabbrini, lunedì 10 luglio alle 17.30 presso la sede della Rappresentanza della Commissione Europea a Roma per discuterne insieme.

 

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