(tratto dal blog di Roberto Sommella su HuffPost Italia)

L’Europa si appresta ad essere governata dal consueto direttorio franco-tedesco ma nonostante questa continuità non ha ancora chiara quale sia la sua vera missione: unire le diversità nella ricerca del maggior benessere generale. Eppure la sveglia è suonata forte da tempo, con la nascita di oltre cinquanta partiti autonomisti, il rafforzamento di quelli sovranisti e la formidabile calamita che rappresentano tutti gli Stati che hanno nel simbolo First. La Grecia poi, che esce dal voto di domenica 7 luglio e svolta verso destra con Nea Democratia, rappresenta plasticamente il più grande fallimento dell’Ue. Per restare nell’euro Atene è stata sottoposta a sacrifici incredibili ma continuerà a pagare interessi fino al 2060, mentre metà dei cittadini ha problemi di salute mentale, gli ospedali hanno i finanziamenti dimezzati, i suicidi sono aumentati del 40% e i senza tetto quadruplicati. Ne è valsa la pena? 

Anche per questo lo spettacolo offerto dai leader europei durante le trattative per il rinnovo delle massime cariche comunitarie è stato scoraggiante, uno schiaffo per i circa 300 milioni di europei che hanno votato il 26 maggio. Senza considerare i profili dei due candidati bocciati sull’altare della realpolitik, quello socialista, Franz Timmerman e quello popolare, ManfredWeber, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno deciso di calpestare il principio degli Spitzenkandidatnon il migliore possibile, ma l’unica possibilità per gli elettori di partecipare attivamente alla cosa pubblica,indicando chi vogliono alla guida della Commissione Europea e premiando chi vince alle urne.  

 

Spuò obiettare che l’importante è il risultato, che l’Europa è salva dall’attacco dei barbari. Che andranno provate sul campo Ursula von der Leyen e Christine Lagarde, rispettivamente numero uno di palazzo Berlaymont e presidente della Bce, una tedesca e una francese, come vuole il Cencelli di Parigi e Berlino, che la soluzione finale ha clamorosamente permesso all’Italia di riavere lo scranno più alto del Parlamento Europeo con David Sassoli, che ha preso il testimone da Antonio Tajani. Si potrà persino sostenere che Mario Draghi, il candidato più forte per la Commissione ma mai schierato dal governo Conte, alla fine potrebbe diventare il numero uno del Fondo monetario. E che, soprattutto, sono rimasti a mani vuote i partiti nazionalisti più euroscettici, ad Est e dalle nostre parti con la Lega. Tutto vero. Ma sarebbe un grave errore non comprendere come i capi di stato e di governo abbiano perso un’occasione per ascoltare davvero il volere di milioni di cittadini, le loro paure di restare ai margini, di non servire più perché una piattaforma o un robot gli ha soffiato il posto di lavoro.Non aver rispettato il risultato e le indicazioni delle elezioni è stato un fatto grave che non può che alimentare i nazionalismi, proprio nel momento in cui l’Unione è schiacciata in mezzo alla guerra commerciale tra Stati Uniti, Russia e Cina, i paesi che mostrano la faccia più dura nel nazionalismo.

 

Manca una visione d’insieme dei problemi e di quello che sta accadendo. Il modello unione delle diversità, nato dopo la seconda guerra mondiale, è andato in crisi ed è stato messo alla corda proprio dai paesi che quel conflitto hanno vinto. Gli Stati Uniti di Donald Trump, l’Inghilterra della Brexit, la risorta grande Russia di Vladimir Putin, oggi sono i più acerrimi nemici del mercato unico, dell’euro, delle libertà commerciali. E il momento non potrebbe essere peggiore, visto che la globalizzazione non riesce più a creare benessere aggiuntivo anche nel vecchio continente. Qualcosa si è fermato. I tempi in cui il commercio aumentava più del doppio del tasso di crescita del Pil globale e venivano giù le frontiere con l’instaurarsi di un modello capitalistico il più esteso possibile, sono lontani, forse finiti. La crisi del 2008 ha esacerbato gli squilibri, mentre la quota mondiale della ricchezza nazionale dei paesi del G7 è scesa dal 46% al 30%. Cresce di più chi è fuori. Dai grandi consessi mondiali, dalle vecchie logiche commerciali, dalla moneta unica. Proprio Putin, in occasione della sua visita in Italia, ha perfettamente colto questo passaggio storico e ha scritto su la Stampa che ‘’le discussioni sul nuovo ordine economico mondiale rimarranno aspirazioni buone e vuote se non riporteremo al centro concetti quali la sovranità, il diritto incondizionato di ogni paese al proprio percorso di sviluppo e per lo sviluppo sostenibile universale’’. Mai analisi del momento che viviamo è stata più lucida. Secondo il nuovo Zar non sarà certo l’imposizione di un solo e unico vero canone a risolvere i nodi della crescita condivisa, quell’Unione Europea che gli ricorda molto da vicino l’Unione Sovietica, ma l’armonizzazione degli interessi economici nazionali. Proprio quello che non sono riusciti a fare i leader europei al momento delle scelte per i vertici comunitari, pur avendolo scritto nei trattati e nei programmi elettorali

 

Senza la presa di coscienza che un certo modo di concepire il mondo e l’economia sta venendo meno e senza l’impegno a costruire un’Europa più sociale, milioni di persone troveranno più sensato seguire i ragionamenti putiniani o di Donald Trump. E tra un nazionalista e un sovranista travestito da europeista preferiranno sicuramente l’originale.

foto di Eugenia Puleo