A volte ragioniamo di ius soli e di accoglienza degli immigrati senza accorgerci che la nostra società è più avanti del dibattito in corso. Eppure avremmo tutte gli strumenti per informarci e scoprire che già oggi un lavoratore regolare e uno studente su dieci in Italia sono stranieri.
Sul primo fronte dal Rapporto sugli stranieri e il mercato del lavoro in Italia, emerge come l’incremento dell’occupazione valga anche per i non italiani. In particolare, l’aumento è stato nel 2016 superiore alle 19mila unità nel caso dei cittadini UE (+2,4%), di 22.758 unità nel caso dei cittadini non UE (+1,4%), di 250mila unità per gli occupati italiani (+1,2%). Il dossier fornisce informazioni inedite su tre fronti: la composizione della forza lavoro in Italia, il grado di istruzione dei lavoratori stranieri e i settori dove sono occupati, il livello di soddisfazione.
La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2016 era pari a 5 milioni e 26mila persone, l’8,3% della popolazione complessiva. L’aumento rispetto al 2015 è di lieve entità. Nel 2016, la stima del saldo migratorio è stata di +135 mila unità: giusto qualcosa in più degli italiani che invece hanno lasciato il paese nello stesso anno, in gran parte giovani. Un bilancio che fa pensare ma non deve indurre a conclusioni affrettate. Gli uni (gli stranieri) non hanno tolto il posto agli altri (gli italiani). E lo dimostrano i dati ufficiali.
L’incidenza percentuale sul totale degli occupati dei lavoratori esteri, comunitari e non, è infatti passata dal 6,3% del 2007 al 10,5% del 2016, con rilevanti differenze settoriali. Si tratta di un lavoratore su dieci, una percentuale importante, direi sorprendente, che aumenta se si prendono in considerazione l’Agricoltura, dove la forza lavoro straniera pesa per il 16,6% del totale, il Commercio, dove si è passati dal 3,7% rilevato nel 2007 al 7,2% del totale degli occupati nel 2016, e i Servizi, in cui la presenza straniera è passata dal 5,9% al 10,7%. Sono numeri che danno un volto a tutti coloro che ogni giorno incontriamo nei cantieri, nei negozi aperti h 24 e nei tanti campi coltivati. Non c’è controprova, ma la sensazione è che si accontentino di posti che noi riteniamo desueti.
Sorprendenti anche i dati sul livello di istruzione. Un lavoratore non italiano su cinque è laureato, ma l’80% del totale ha una semplice qualifica di operaio. Un drastico ridimensionamento rispetto alle aspirazioni, comune a molti altri giovani italiani. Il 21% dei lavoratori UE e non UE impiegati con mansioni di basso livello ha conseguito il diploma di laurea e il 36,4% di questi svolge la funzione dirigenziale; i lavoratori stranieri con al massimo la licenza media con mansioni tecniche di tipo operaio sono invece il 32,1%, mentre quelli con educazione secondaria superiore equivalente al diploma, per il 31,2% hanno un lavoro manuale specializzato.

La nostra società è però mutata anche alla base di partenza. L’ultimo Rapporto del Ministero dell’Istruzione sull’integrazione, certifica come quasi uno studente su dieci in Italia sia uno straniero: dal 1995 al 2016 sono passati da 50.322 a 815.000, il 9,2% del totale. Nel 1983 erano solo 6.000. Da qualche anno gli scolari di origine migratoria rappresentano peraltro la componente dinamica del sistema scolastico italiano, che contribuisce con la sua crescita a contenere la flessione della popolazione scolastica complessiva, derivante dal costante calo degli studenti italiani. Un po’ come accade per i contributi pensionistici degli immigrati che permettono l’equilibrio dei conti previdenziali. Nell’ultimo quinquennio gli studenti italiani sono diminuiti di 193.000 unità passando da 8.205.000 a 8.012.000 (-2,3%), gli studenti stranieri sono invece aumentati di 59.000 unità (+7,8%) passando da 756.000 a 815.000 unità. Il bilancio dei due movimenti di segno opposto è un decremento di 133.000 unità della popolazione scolastica complessiva che è passata da 8.960.000 a 8.827.000 studenti. Anche qui si può fare un paragone sul tasso di crescita demografica della popolazione originaria, che senza immigrati si ridurrà da qui al 2070.
Quelle appena elencate non sono solo cifre di un cambiamento prorompente in atto, ma rappresentano un tratto distintivo e assodato di una società multiculturale che si fa largo, tra mille difficoltà e molti pregiudizi.
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