di Masha Musil

A volte un gesto colpisce più di mille proclami. E la stretta di mano tra Sergio Mattarella e Borut Pahor, sotto il caldo sole di luglio, davanti alla foiba di Basovizza e al monumento agli irredentisti sloveni fucilati dal regime fascista ha indicato a due popoli un obiettivo rincorso per decenni. La pace dentro il comune abbraccio europeo.

In una terra di confine, violata per secoli da continue rappresaglie reciproche, il gesto compiuto il 13 luglio 2020 dal presidente della Repubblica italiano e dal presidente della Repubblica slovena ha spiegato a tutti che la seconda guerra mondiale è finita e che il presente è l’Europa.

L’amicizia tra i due capi di Stato è stato il collante, la comune visione europeista ha rappresentato lo sprone, un cerimoniale studiato al millimetro ha favorito la riuscita della giornata. Poi c’è stato il di più: la decisione, umanissima, di tenersi per mano. Per superare insieme un Novecento insanguinato da due diversi totalitarismi, dalle lotte politiche e fratricide sul confine orientale, e per indicare insieme ai rispettivi Paesi qual è la strada da imboccare fatta di dialogo e convivenza nella diversità. Senza dimenticare il passato, senza nasconderselo, ma guardando avanti.

In Italia Sergio Mattarella, e prima di lui altri presidenti, ha già fatto i conti con le ombre del nostro Paese, ha già denunciato la follia del fascismo e delle leggi razziali, ha già chiesto scusa. La tragedia delle foibe in Italia è, seppur da pochi decenni, storia condivisa da tutti, anche da chi per anni ha cercato di negarla. Più difficile per Pahor, rappresentante di un Paese ancora attraversato da sentimenti sovranisti, essere il primo presidente sloveno a riconoscere con la sua presenza gli eccidi titini.

Entrambi hanno però compreso che il modo migliore per dare corpo all’europeismo condiviso era compiere un passo sulla strada della riconciliazione. Non si può continuare in eterno a mettere i morti contro i morti. Certamente bisogna ricordare e avere pietà per il dolore subito perché “la storia non si cancella” ha detto Mattarella. Ma gli errori del passato non devono mettere il piombo alle possibilità del futuro e dei giovani condannandoli a vivere tra “risentimento e rancore”. La giornata dei due presidenti a Trieste ha riservato più gesti che parole: il duplice riconoscimento, davanti alle foibe e al monumento, dunque, e anche la riconsegna agli italiani di lingua slovena del Narodni dom, la casa della cultura slovena incendiata un secolo fa dai fascisti.

Sono passati trentasei anni da un’altra stretta di mano storica: a Verdun il cancelliere tedesco Helmut Kohl tenne per mano il presidente francese François Mitterrand per siglare la riconciliazione franco-tedesca dopo le due guerre del Secolo breve. Dopo secoli di battaglie e di conflitti di confine per 75 anni l’Europa è vissuta in pace e la nuova iconica stretta di mano tra Mattarella e Pahor è stata possibile, ha notato il Capo dello Stato, grazie al fatto che “il significato di separazione delle frontiere è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione Europea”. Dietro di noi i lutti dei nazionalismi contrapposti, il presente fatto di convivenza, pace e democrazia. Il gesto d’amicizia di due presidenti serve anche a questo: a spiegare, ancora una volta a chi troppo spesso lo chiede, a cosa serve l’Europa.