Emmanuel Macron scrisse un libro prima di candidarsi alle elezioni presidenziali senza che esso contenesse un solo numero, salvo la sua data di nascita. Eppure chiedeva voti, che sono cifre e possedeva l’economia e la finanza che di numeri son fatte.
Macron si mise allo stesso livello di quel popolo che doveva votarlo, forse per l’unica volta nella sua vita, scendendo dallo scranno del finanziere e mettendosi alla pari di chi, con quei numeri, deve ogni giorno fare i conti. Salgono i tassi di interesse? Il mio mutuo e il mio prestito costeranno di più, costerà di più persino la mia carta ricaricabile. L’inflazione torna a correre? Il mio carrello della spesa sarà più leggero e il portafoglio più vuoto. La Bce decide di stringere sugli acquisti dei titoli di stato sovrani? La tua banca con maggior difficoltà ti concederà un credito perché dovrà comprare in quantità superiore i titoli di stato emessi dal ministero del tesoro. Tutto è economia perché ormai l’economia è politica e la politica non riesce a governarla, anzi si fa condizionare come se fosse una famiglia normale.
Ecco allora che quella fuggevole illuminazione del giovane principe francese deve essere tirata fuori dal cassetto per spiegare a milioni di persone quanto possono valere le loro piccole, grandi scelte. Nel 2024 voterà oltre mezzo miliardo di persone, tra Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna, per non contare l’India, che viaggia verso la leadership demografica mondiale.
Quel numero di seggio, quel segno posto sulla scheda elettorale avrà un alto valore simbolico, potrà diventare una stella polare nella tempesta emozionale in cui si trovano i governanti del mondo occidentale. Finalmente quei numeri conteranno, gli elettori potranno concedere o meno ancora fiducia a Donald Trump o Joe Biden, oppure assegnare il loro consenso a chi vuole riportare alla presidenza della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Certo. Non c’è da illudersi che una sola persona con la sua scelta messa in comune con le altre possa sovvertire le sorti della politica che, soprattutto in Europa, viaggia totalmente avulsa dal mondo reale e a volte sembra ancora più cinica della cinica finanza, da cui di fatto prende ordini o quanto meno ne è fortemente condizionata. Ma quel giorno, quel santo giorno in cui per l’ennesima volta saranno chiamati a dire la loro centinaia di milioni di persone, ci sarà l’occasione di coltivare una dolce rivincita.
I governi sono deboli, i premier impauriti di fronte al disordine mondiale, le assise parlamentari evanescenti. Le guerre che ci stringono d’assedio non frenano l’accumularsi di ricchezze e l’inasprirsi delle disuguaglianze.
Stavolta c’è da crederci. Avranno tanta paura i partiti, quelli rimasti e sopravvissuti alla grande ondata di fredda disillusione, c’è da scommetterci che all’apertura delle urne nessuno saprà prima come andrà a finire. E dunque quel numero conterà.
Il destino ha ripreso a far sentire tutto il suo peso come il caso e l’inatteso hanno sconvolto gli ultimi anni della nostra vita. Ognuno avrà perciò la sua occasione di far parte dell’ordine mondiale.
In gioco ci sono il concetto diventato arcaico di democrazia e la sua continuazione. Non si può far finta che esse non siano sotto attacco da chi pensa che votare un parlamento non serva più a nulla perché basta un leader che si erga a voce del popolo o un algoritmo per renderlo inutile. Ci sono io che parlo a nome del popolo, a che serve un posto dove discutere? In fondo il populismo è proprio tutto ciò che racchiude un’idea di leadership molto vicina all’idea del volere del popolo. Per una volta sia il popolo ad esprimersi e non il populismo ad avvantaggiarsi del voto del popolo.
Come sono giuste le elezioni…