Pubblichiamo il discorso di Paolo Savona, ministro delle Politiche Europee, alla presentazione del libro Gli arrabbiati di Roberto Sommella

Sulla falsariga del discorso di Bruto come interpretato da Shakespeare, non sono qui a discutere se il lavoro di Sommella sia giusto o sbagliato, ma a ribadire che anche in Italia è possibile e doveroso discutere dei problemi in esso trattati in modo serio e pacato, come fanno in qualsiasi paese civile.
Invero il titolo da lui scelto non testimonia del suo tradizionale distacco con cui tratta problemi simili a quelli sollevati nel testo, ma non mi soffermo su questo aspetto della sua analisi perché noi tutti ben sappiamo che l’Autore è pacato e riflessivo per natura. Il bla bla bla di questi mesi del mondo della politica e produttivo sulle sorti tragiche dell’Italia nell’Unione – un termine che già di per sé suscita interrogativi – cela una realtà ormai di tutta evidenza: l’indubbia capacità dell’organizzazione europea di creare stabilità finanziaria, oltre che monetaria, e di tenere a bada gli arrabbiati di cui parla Sommella, ma non quella di creare sviluppo e dare una risposta ai cittadini, per fortuna non ancora del tutto arrabbiati.
Ogni tanto anche i più accessi media che difendono ad oltranza l’attuale architettura e politica dell’UE danno spazio a voci che sostengono la necessità di una  reinterpretazione/riforma dei Trattati europei, forse nel tentativo di ricostituirsi un’immagine di indipendenza culturale e politica che hanno perduto con le loro accese polemiche e gli scarsi argomenti fondati. Anche in questi casi, tuttavia, è importante per loro che le affermazioni provengano da persone, preferibilmente straniere, che non abbiano poteri per avviare un discorso concreto al quale non offrono alcun sostegno. Recentemente lo ha fatto Repubblica con l’opinionista Wolfang Munchau e il Corriere
con il prof. Mauro Magatti, ma questi sassi gettati nello stagno delle posizioni  recostituite lasciano solo un breve segno. Sugli studi avanzati da centri di studio ben organizzati e considerati cade un silenzio (come suol dirsi) assordante, come è stato l’ultimo in ordine di tempo diffuso dall’Institute of International Finance di Washington, che giudica le politiche europee di austerità una scelta errata, avendo avuto e hanno tuttora un effetto contrario a quello desiderato.
A scanso di equivoci così diffusi nel nostro Paese, non sto parlando di problemi contingenti, ma di come discutere di quale visione di più lungo periodo deve guidare le scelte dell’Unione Europea per imprimere un andamento tale da curare la sua “zoppia” (come noto un termine usato da Ciampi) al fine di dimostrare che questa malattia non sia congenita. Viviamo un periodo di lenta transizione del Parlamento europeo, della Commissione e della BCE che si avrà il suo apice nelle elezioni del maggio del 2019 e continuerà per tutto l’anno. È perciò quasi impossibile aprire un dialogo con gli attuali protagonisti che vada al di là del contingente e dello specifico. Spero che i danni di questo “vuoto di riferimento” non siano irreparabili. Tuttavia l’Italia non può attendere perché deve fronteggiare i rischi di una ricaduta nella recessione produttiva dovuta a prevalenti motivi geopolitici, che preludono a una crescita della disoccupazione e della povertà, già a livelli politicamente inaccettabili. Se i governanti europei non mostreranno la saggezza minima necessaria per offrire una risposta a questa situazione comune agli Stati membri, gli “arrabbiati” aumenteranno.
La mia opinione è che basterebbe iniziare almeno a discuterne nei modi proposti dal documento da me inoltrato per conto del Governo a Strasburgo, Bruxelles e Francoforte. Se i responsabili non vorranno discuterne, voi stessi dovrete trarne le conseguenze nel corso di questo incontro.

 

foto di Umberto Pizzi per Formiche.it