Lo stato della conoscenza e della formazione in Italia è ai livelli di guardia. Lo si evince dal poderoso Rapporto Istat da cui si evincono tre cose fondamentali: siamo il paese in Europa con meno laureati sulla popolazione (20%); si sta riducendo la ricerca di posti ad alta specializzazione nell’ultimo decennio è diminuita rispetto a tutti gli altri paesi europei come anche l’impiego nei settori ad alta tecnologia è agli ultimissimi posti nell’Ue; continua a calare la spesa in ricerca e sviluppo. Da analizzare questo ultimo punto.
Nel 2015 la spesa totale per R&S intra-muros sostenuta in Italia è stata pari a circa
l’1,3% del Pil; nell’Ue la quota si è mantenuta di poco superiore al 2%. L’intensità di
R&S dell’economia italiana è inferiore rispetto ai principali paesi europei tranne la
Spagna (1,2%). Il divario è particolarmente ampio per le imprese (meno dello 0,8%
rispetto a oltre l’1,3% dell’Ue), ma sussiste anche per l’Università e i centri di ricerca
pubblici. Considerando gli addetti impegnati in attività di R&S in rapporto
all’occupazione complessiva, il ritardo dell’Italia con l’Ue si riduce a soli due decimi
di punto (1,8% rispetto al 2,0%), per effetto dell’intensità capitalistica meno elevata
– o, che è lo stesso, della maggior intensità occupazionale – della spesa nazionale.
Sin dal 2000, l’Ue si è prefissa l’obiettivo strategico di raggiungere una spesa in R&S
pari al 3% del Pil. A oggi, questo obiettivo è stato raggiunto solo da Svezia, Austria e
Danimarca, dove numerose imprese operano in settori a elevata intensità di R&S e,
parallelamente, vi è un forte impegno del settore pubblico. Per l’Ue nel suo complesso, nell’ultimo decennio l’intensità di ricerca è cresciuta di appena un quarto di punto percentuale, mentre nell’economia cinese è aumentata di oltre mezzo punto, superando il livello europeo. In Italia, la crescita è stata di circa 2 decimi di punto, grazie all’aumento della spesa delle imprese, passata dal 52 al 58% del totale.
Nel 2015, quasi un terzo della spesa in R&S di istituzioni pubbliche e università è
stata indirizzata all’area delle scienze naturali (che nella classificazione internazionale comprendono anche la fisica e l’informatica), poco meno di un quinto alle scienze
sociali, e poco più del 15% a quelle mediche e sanitarie e a quelle ingegneristiche.
Rispetto al 2007, è aumentata la quota delle scienze ingegneristiche e sociali, e diminuita quella delle scienze mediche e, soprattutto, dell’aggregato delle scienze naturali. Rispetto a Germania e Spagna, in Italia la quota di spesa nelle scienze ingegneristiche è minore, ed è maggiore quella nelle scienze sociali e negli studi umanistici.
Nel 2015, il 60% della spesa in R&S nazionale è concentrata in Lombardia, Lazio,
Piemonte ed Emilia-Romagna. In rapporto al Pil, spicca la performance del Piemonte
(2,2%), dove è molto rilevante l’attività di R&S delle imprese. A distanza, seguono la
provincia di Trento, l’Emilia-Romagna, il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia. A confronto
con il 2007, l’intensità di R&S è aumentata in misura particolare a Trento, dove pesa
molto la componente di ricerca pubblica e universitaria, oltre che in Liguria e in
Piemonte. Nelle regioni del Mezzogiorno, colpite duramente dalla crisi, l’intensità di
R&S nell’economia è più modesta e ha avuto scarso dinamismo, per la ridotta spesa
in R&S delle imprese (il 10% del totale nazionale).