Il rapporto Svimez 2017 sull’economia del Mezzogiorno ( https://bit.ly/2AVXEOh ) mette davanti, ancora una volta, i principali sostenitori di governo del Parlamento e delle opposizioni (almeno di quelle prettamente parlamentari) ad un’antipatica evidenza. La presente è un’epoca in cui ognuno cerca di creare per sé la propria inconfutabile verità in un circolo vizioso senza fine: tuttavia, ancora una volta possono tornare utili l’uso di dati e la vaga speranza di allargare la visione dell’opinione pubblica.

La pubblicazione Svimez è solo l’ultima delle tante, troppe  testimonianze dello stato di disperazione che regna in fasce sempre più ampie della popolazione italiana. Mentre le diseguaglianze non accennano a diminuire (anche tra gli stessi nord e sud, con l’impoverimento progressivo di entrambi), imbelle della tanto millantata “ripresa” il Sud continua a scivolare verso livelli da terzo mondo in materia di occupazione, di servizi e di produttività. E potrebbe non essere il peggio: il flusso ininterrotto di emigrati interni ed esterni in un Paese ancora membro del G8 era e continua ad essere senza pari o precedenti.

La fuga dal Nord o addirittura dall’Italia, da ben prima della crisi del 2008 (che pure ha fatto la sua parte), è un fenomeno a cui nessuno sembra riuscire a dare una soluzione. In molti, nella confusa lotta per accaparrarsi i voti e i consensi di una parte di penisola che mai ha realmente raggiunto il benessere economico, hanno millantato di avere la chiave per risolverne le controversie e tuttora si innalzano a paladini del Meridione. Fino a oggi, tuttavia, pochi erano riusciti a raggiungere un tale livello di contraddizione. I più votati al Meridione si sono alleati al governo con un partito storicamente legato al nord e alla sua piccola borghesia (oltre che, un tempo, principale antagonista dell’immigrazione interna, ancor prima di quella esterna al centro del dibattito odierno), ancora stenta a dimostrare qualcosa in materia di politica “del Mezzogiorno”. Dall’altra parte il Partito Democratico, come una bestia confusa ed imbizzarrita, nei suoi ultimi mesi al governo è riuscito a far propria (soprattutto per bocca dell’ex ministro Poletti) una tre le più ingiustificabili retoriche sulla fuga di cervelli: quella delle “persone che è meglio non aver tra i piedi” rappresenta una delle bandiere bianche più clamorose issate su un ministero della Repubblica, un gettare la spugna inspiegabile e ingiustificabile anche per troppi membri dello stesso PD.

Nell’epoca della più totale anarchia in ambito di comunicazione e propaganda, che molti quasi con leggerezza chiamano “post-verità”, basta fin troppo poco per far crollare il castello di carte costruito in campagne elettorali lunghe tutta una legislatura agli occhi degli esperti.

Da una parte il populismo con cui 5S e soprattutto Lega porta a individuare una semplicità e quasi “ingenuità” (se non fosse per il cinismo con cui le si dichiara) di soluzioni e ricette che rischia di portare al collasso una nazione intera, prima che ancora il già fragilissimo rapporto tra partiti e popolazione.

Dall’altra parte è proprio la noncuranza del Partito Democratico nei confronti di questo rapporto, un tempo “patto” quasi sacro, a stupire nel trattare certi temi. Nel contrastare il populismo si è andata creando l’idea i pochi “risultati” raggiunti e tentando di congelare una situazione di per sé tutt’altro che invidiabile, oltre che destinata a peggiorare progressivamente col passare degli anni. Arrivando, quindi, alle frasi di Poletti e alla mancanza totale di una politica attiva che fosse volta a preservare il futuro delle nuove generazioni.

 

Per ora, carta canta: l’Italia continua ad impoverirsi e i suoi cittadini se ne rendono conto: nonostante l’esorbitante flusso migratorio, i residenti in Italia sono diminuiti e non poco. Per quanti sono al governo oggi e che, pare, ci resteranno per molto, il motto “Italia agli italiani” potrebbe iniziare a perdere di senso molto presto. Per loro, oltre che per la loro controparte (oggi più avviata all’estinzione definitiva che a un ruolo nella futura classe dirigente), oggi più che mai dovrebbe apparire chiara l’urgenza di una politica seria su tali questioni. Per ora, rimangono un’enorme incognita che nessuno sembra essere intenzionato a risolvere.