Il lavoro ormai parla diverse lingue e il problema del demansionamento rispetto al livello di istruzione vale anche per gli stranieri regolari in Italia. Uno su cinque è infatti laureato ma l’80% del totale ha una semplice qualifica di operaio. Un destino comune a molti altri giovani italiani. E’ il quadro che emerge dalle ultime rilevazioni del ministero del Welfare nel suo rapporto 2017.
La quasi totalità dei lavoratori stranieri presente in Italia svolge un lavoro alle dipendenze e poco meno dell’80% è impiegato con la qualifica di operaio. La segmentazione professionale su profili esecutivi è confermata dalla scarsa presenza di lavoratori stranieri tra i ruoli dirigenziali e simili: appena lo 0,9% degli occupati ha una qualifica di dirigente o quadro. Non sembrerebbe quindi che essi hanno tolto il posto agli italiani, come vulgata vuole.
Con riferimento ai livelli di istruzione, i dati dello studio consentono poi di rilevare anche altri elementi importanti:
a) il 21% dei lavoratori UE e non UE impiegati con mansioni di basso livello è laureato e il 36,4% dei laureati svolge la funzione di Dirigenti, professioni intellettuali e tecniche;
b) i lavoratori stranieri con al massimo la licenza media che svolgono mansioni tecniche di tipo operaio sono il 32,1%;
c) nel caso dei lavoratori con educazione secondaria superiore equivalente al diploma, il 31,2% dei cittadini UE e non UE svolge un Lavoro manuale specializzato.
Interessante anche la parte conclusiva dell’indagine sul denominata, come registrato dall’Istat, “Soddisfazione per il lavoro svolto”.
Alla domanda “Quanto è soddisfatto del lavoro attuale?”, in base a una scala di punteggio compresa tra 0 e 10 (dove 0 indica “per niente soddisfatto” e 10 “molto soddisfatto”), il 41,3% degli occupati non comunitari di 15 anni e oltre e il 48,5% dei comunitari dichiara di avere un alto livello di soddisfazione, a fronte del 54,8% dei lavoratori italiani. Nel caso dei non UE la quota di individui altamente soddisfatti è più contenuta rispetto ai cittadini nativi ed UE, ed è simmetricamente più elevata la percentuale (11,4%) di coloro che si collocano nella fascia più bassa di soddisfazione.
Complessivamente il profilo dell’insoddisfazione dei cittadini stranieri, in particolare non comunitari, che emerge dai dati è legato a un insieme di problematiche attinenti alla mobilità professionale, alla retribuzione, allo sviluppo delle carriere e delle qualifiche professionali. Gli stessi che per gli italiani.
Anche i dati di fonte INPS relativi al numero di individui che godono di strumenti di sostegno al reddito sembrano confermare il miglioramento del quadro generale. Diminuiscono, infatti, i percettori di disoccupazione ordinaria non agricola (inclusa quella speciale edile), ASpI, Mini-ASpI e NASpI (-7% rispetto al 2015), i percettori di indennità di mobilità (-19,1%), oltre ai beneficiari di integrazione salariale ordinaria (CIG) (-19,6%).
Con riferimento ai trattamenti pensionistici del settore privato, le pensioni IVS (Invalidità, Vecchiaia e Superstiti) erogate dall’INPS a cittadini non comunitari alla fine del 2016 sono 43.830, pari allo 0,31% del totale delle pensioni INPS dello stesso tipo (14.114.464). Tra il 2014 e 2015 il numero di pensioni erogate a cittadini non comunitari è cresciuto del 10,4%; tra il 2015 e il 2016 del 10,6% e complessivamente, nel triennio, del 22,1%.