Chi scrive è antifascista. Fatta questa doverosa premessa, da storico vorrei fare qualche considerazione sul ddl Fiano che potrebbe a breve divenire l’articolo 293bis del codice penale. Il testo è stato approvato in prima lettura alla Camera ed è in attesa di passare al Senato. L’obiettivo della legge è punire “chiunque propagandi le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco”. All’interno dei reati punibili ci sarebbero non solo la produzione o riproduzione di immagini che richiamino i regimi ma anche i famigerati saluti romani, vero simbolo vivente dell’ideologianazista e fascista. La legge è stata contestata sia dal Movimento 5 stelle che dalla Lega, con argomentazioni risibili che forse hanno solo confermato ai relatori quanto fosse indispensabile disciplinare la materia (ad esempio Matteo Salvini ha sminuito la legge dicendo che i problemi in Italia sono ben altri). Al contrario la legge Fiano è forse tremendamente di attualità, visto il crescente richiamo nostalgico a simboli e motti del ventennio. Allo stesso modo tuttavia la legge può rivelarsi anche tremendamente sbagliata, un’arma a doppio taglio proprio per chi vuole impedire la diffusione dell’ideologia fascista.

Il primo motivo è che la legge, impostata in questi termini, punisce i riferimenti espliciti al fascismo ma non ne combatte veramente l’idea costitutiva. Quindi il dispositivo si impone come una semplice censura esteriore che vieta ogni riferimento storico. Come già accaduto altrove, ad esempio in Germania ed Austria, Paesi che possono vantare una censura su quegli anni ben più stringente che in Italia, chi vuole propagandare le stesse idee con altri mezzi o simboli è comunque libero di farlo. Con un importante differenza: mentre i simboli e i motti del fascismo e del nazismo sono ben riconoscibili da chiunque un loro occultamento in altra veste diventa molto più insidioso e mira ad abbassare le difese dei ricettori del messaggio politico. Usando dei simboli diversi da quelli del fascismo ma lasciando intatta una parte del suo messaggio è stato possibile per alcuni partiti, come il FPO in Austria negli anni ’90 o il MSI in Italia nel corso degli anni ’80, scalare le istituzioni e giocare un ruolo importante nella vita pubblica. Nel bellissimo film del 2008 Die Welle (in italiano “l’onda”) un professore di un liceo tedesco tenta un esperimento sociologico. Davanti alle osservazioni dei ragazzi che ridicolizzavano il partito nazista e il suo successo il docente inizia ad introdurre nella classe alcuni simboli, gesti e slogan che non avevano nulla a che fare con il nazismo apparentemente ma che in realtà ne riproducevano le idee di fondo, ossia l’idea di esclusività e di esclusione e quella di superiorità del gruppo-classe sugli altri. L’esperimento, iniziato per gioco, in breve diventa virale e il gruppo delle “camicie bianche” inizia a diffondersi a macchia d’olio in tutta la scuola, dando spazio a quelli che prima erano esclusi e costringendo i ribelli alla responsabilità della leadership. Il finale del film è drammatico ma l’insegnamento che ne emerge è chiaro. Il richiamo al fascismo, apparentemente pericoloso, in realtà è auto-immune in una società preparata a riceverlo, invece il richiamo più sottile delle idee nascoste è più difficile da riconoscere e quindi ben più pericoloso.

La seconda osservazione sulla legge Fiano riguarda la tempistica. Questa legge arriva nel 2017, a più di 70 anni dalla sconfitta del fascismo e del nazismo. Perché si fa una legge di questo genere oggi? Una legge di censura di questo genere è un’ammissione di fallimento implicito delle istituzioni democratiche. Per 70 anni la nostra Repubblica ha visto numerosi partiti di destra e di estrema destra, piccoli e grandi. Alcuni sono evoluti e sono cambiati, entrando all’interno della dialettica democratica, mentre altri sono rimasti legati alle loro radici. Attualmente non c’è nessun partito significativo in Italia che proponga un ritorno nostalgico al fascismo. Legiferare sul tema a causa dei “numerosi segnali di un ritorno all’apologia di fascismo” nelle parole di Fiano significa che sono i cittadini stessi o una parte di essi i destinatari del provvedimento. Quindi noi stiamo ammettendo di non essere riusciti a sconfiggere il fenomeno del fascismo non nella politica ma nella società. Stiamo quindi riconoscendo una distanza tra la costituzione materiale, che richiama l’antifascismo, e un sentire di una parte della società che invece lo ricorda con nostalgia. Questa è una drammatica capitolazione. Vuol dire che il sistema dei media, dell’informazione, il sistema scolastico e anche gli anticorpi della società civile in tutti questi anni non sono stati in grado di arginare il fenomeno, per cui il legislatore deve intervenire con la forza coercitiva. La stessa esistenza di questa legge quindi è un segnale inquietante che deve far riflettere. Se veramente c’è un problema attuale di richiamo al nazi-fascismo allora non si risolve bandendo i simboli del regime, ma attraverso un sistema educativo e informativo più attento, che coinvolga i cittadini come soggetti e non come oggetti. In pratica si deve agire sulla coscienza sociale del fenomeno. Facciamo un esempio paradossale. Vivendo nel futuro scopriamo, in un libro di storia,che nel 2018 entrò in vigore una nuova disposizione penale che puniva ogni richiamo, diretto o indiretto, alla monarchia italiana. Quale può essere stata la causa? Un ritorno in auge dei Savoia? Una diffusa nostalgia per il Re? Quale che sia il motivo capiamo che quella società italiana, quello Stato, era estremamente fragile su un suo valore costitutivo, appunto l’ordinamento repubblicano.Lo stesso avviene oggi con il fascismo.  

La terza riflessione, se volete più astratta, riguarda il continuo richiamo all’antifascismo come valore costituente e al suo auto-perpetuarsi attraverso leggi, come la legge Scelba del 1952 e la legge Fiano, che ribadiscono la necessità di evitare ogni riferimento al fascismo nella sfera pubblica. La scelta dei padri costituenti di creare una Repubblica basata sui valori dell’antifascismo è comprensibile e condivisibile. Tuttavia in questa scelta è implicito anche un rischio, un rischio che ogni legge successiva amplifica. Se ad essere fondamento del nostro vivere civile non sono solo dei valori positivi come la libertà e l’uguaglianza davanti alla legge ma anche dei valori negativi (l’anti-fascismo appunto) siamo noi stessi a rendere costitutivo ciò che vogliamo negare. Infatti siamo noi che, associando ogni fenomeno simile a quel periodo storico, ne perpetuiamo la memoria, il ricordo e in ultima analisi la legittimità. Finché esisterà una Repubblica antifascista esisterà anche il fascismo. Quindi non solo i valori della resistenza rimarranno in eterno ma anche la negazione di quei valori, che ne rappresentano l’antitesi e quindi la vera ragione d’essere. L’esistenza e il perpetuarsi del fascismo nella società italiana, con un richiamo anche esplicito a quegli anni, è quindi inevitabile e strutturale all’esistenza stessa di questa Repubblica. Possiamo quindi negare il fascismo e la sua eredità e distanziarcene pubblicamente (ma non intimamente e socialmente, cosa che sarebbe ben più utile) ma non possiamo impedire a quelle idee di avere continua linfa, data dalla nostra stessa costituzione. Il massimo che possiamo fare è riconoscere il pericolo (per cui più è esplicito meglio è) e contestualizzarlo nella storia e nel presente. Forse con questa legge siamo un passo più distanti dall’obiettivo, ma certamente è giusto porsi tutti gli interrogativi che sottostanno a questa iniziativa.