di Roberto Sommella, Presidente della Nuova Europa

(Congresso Nazionale della Gioventù Federalista Europea, Verona, 15-16 novembre 2019)

 

Se bastassero i simboli a rivitalizzare le coscienze sarebbe sufficiente trasformare Ventotene da isola del confino fascista e del Manifesto a sede della prossima e auspicabile costituente europea. D’altronde Maastricht chi la conosceva prima del Trattato? Oggi è un polo importante di studio del diritto comunitario e molti ragazzi italiani vanno lì a cercare una specializzazione che gli valga un passaporto per l’Europa. Ma i simboli non bastano se non si ha una storia condivisa.

 

Siamo al sessantaduesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma che istituirono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia atomica (CEEA). Rispetto al Trattato della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) i trattati di Roma contenevano tre affermazioni importanti: il carattere irreversibile dei processo di integrazione comunitaria, il ruolo della Comunità per garantire la pace non solo fra Germania e Francia ma in tutto il continente e come modello a livello internazionale, l’obiettivo di una prosperità condivisa fra i popoli che ne avrebbero fatto parte. Qualcosa si è fermato. I trattati di Roma hanno segnato tuttavia una regressione rispetto a quello di Parigi della Ceca, perché il ruolo dei governi nazionali è ormai  diventato preponderante rispetto a quello della Commissione e perché il raggiungimento della prosperità condivisa è stato di fatto totalmente ceduto in modo esclusivo all’economia di mercato e alla leva monetaria nell’eurozona.
Per quasi trent’anni, nonostante il crescere delle sfide a livello europeo e internazionale e gli evidenti difetti del connubio fra il preponderante metodo intergovernativo e il decrescente ruolo del metodo comunitario a cui si era aggiunta nel 1979 l’elezione a suffragio universale e diretto di un Parlamento, con poteri quasi esclusivamente consultivi, i trattati di Roma sono stati considerati non modificabili dai governi nazionali. Ingessati nelle dinamiche ieri nazionali e oggi nazionaliste.

E’ noto che questo tabù fu rotto dal Parlamento europeo con il progetto di Trattato del 1984 ma la risposta dei governi – che si consideravano e si considerano padroni dei trattati – fu il modesto Atto unico. Da allora le sfide continentali e mondiali sono cresciute, in soli trent’anni abbiamo assistito al crollo del Muro di Berlino, alla nascita dell’Unione Monetaria e dell’euro, all’avvento della globalizzazione e alla prima grande crisi finanziaria dell’Ue. Tutto ciò in una situazione in cui si è resa irreversibile l’interdipendenza economica, finanziaria, sociale, ambientale e culturale. Sono così aumentate le pulsioni contro il multilateralismo e è diventato insopportabile nell’Unione il peso delle sovranità nazionali. Tutto si è fermato.

 

Nessun passo avanti sulla riforma della governance finanziaria, eppure oggi vediamo quanto servirebbe un ministro del Tesoro unico, l’Unione fiscale e regolamenti bancari che non violino la nostra Costituzione. Nessuna modifica alla politica dell’accoglienza, ferma al disimpegno sul ricollocamento dei migranti che di fatto permette a tutti i paesi di avere buoni motivi per mantenere chiuse le frontiere. Nessuna azione concreta per sollecitare i giovani, gli unici che possano davvero dare una scossa a quest’Europa polverosa e burocratica, mentre invece sono relegati, anche nelle prossime elezioni, a pura rappresentanza di genere: uno studente, un disoccupato, un migrante, una donna magari. Nessun intervento sui piani scolastici dove si dovrebbe proprio studiare la storia dell’Unione Europea per costruire l’anima che ci manca.

 

In un celebre discorso nel 1946 a Zurigo Winston Churchill indicò lo spirito che si doveva perseguire.

‘’Per evitare che tornino le epoche buie c’è un rimedio. E qual è questo rimedio sovrano?’’, si chiese. ‘’Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa possiamo ricostituire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo creare una specie di Stati Uniti d’Europa. Solo in questo modo centinaia di milioni di lavoratori saranno in grado di riconquistare le semplici gioie e le speranze che rendono la vita degna di essere vissuta. Il procedimento è semplice. Tutto ciò che occorre è che centinaia di milioni di uomini e donne decidano di fare il bene invece del male e di meritare come ricompensa di essere benedetti invece che maledetti’’. Sembrava impossibile, ma così è stato.

 

Si può dire che oggi 500 milioni di europei e soprattutto i loro governi, stanno lavorando nella stessa direzione? L’Unione di oggi sembra l’Unione delle libertà, dove a parole tutti sono europeisti ma nei fatti la voglia di tornare agli Stati nazione e ai campioni industriali è tanta. La Gran Bretagna vuole uscire dall’Ue ma alle sue condizioni perché intende restare nel mercato unico, evitando il ritorno della questione nordirlandese e magari (colmo dei colmi) votare pure alle elezioni europee. La Germania ha piegato i Pigs, ci ha guadagnato dalla dittatura dello spread e persino dal QE e dal salvataggio della Grecia, ma ora che c’è da puntellare la sua prima banca, bypassa il bail in imposto invece all’Italia per piccoli istituti di credito e sogna magari un nuovo polo Commerz-Deutsche Bank a trazione addirittura pubblica. Se lo avesse solo pensato l’Italia, sarebbe arrivata subito la troika.

Il copione dell’Unione delle Libertà va avanti con la Francia, europeista a parole con Emmanuel Macron ma fortemente nazionalista nei fatti e una larga parte dei paesi dell’Est che si mostrano sempre più allergici ai diritti ma non certo all’incasso dei lauti fondi comunitari. Di cui godono per la propria parte anche Olanda, Lussemburgo e Irlanda e Austria, paradisi fiscali in terra d’Europa più o meno larghi. Se il Trattato di Roma viene usato à la carte come un menu qualsiasi, viene da chiedersi se ha senso crederci ancora o se non è meglio tenersi il mercato unico ben stretto e riporre per sempre nello scaffale della storia il Manifesto di Ventotene e tutte le altre bibbie federaliste.

 

Eppure. Ad aver il coraggio di Churchill di cose da fare ne sarebbero. In quattro tempi: Costituente, Difesa e Ambiente, Riforme e Formazione. Innanzitutto i partiti europei e quelli nazionali nei paesi dell’Eurozona devono assumere nei loro programmi un preciso impegno per redigere nel nuovo Parlamento eletto la Costituzione di una futura Comunità federale, che sia poi approvata attraverso un referendum popolare pan-europeo, dove vengano sanciti i valori essenziali dello stato di diritto: la supremazia della legge, l’eguaglianza, il pluralismo dell’informazione, la separazione dei poteri, i diritti fondamentali, le diversità culturali. Nell’ambito di queste identità serve con la massima urgenza una politica europea per le migrazioni che garantisca il diritto di asilo e obblighi gli Stati membri ai doveri d’accoglienza, rinnovando la cooperazione con l’Unione Africana e la Lega Araba e promuovendo un vero piano europeo di investimenti. Sul fronte invece della sicurezza interna dei cittadini, occorre creare una dimensione europea nella lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione e al terrorismo transnazionali, gettando le basi di un diritto penale europeo, rafforzando i poteri della Procura europea e creando un’Agenzia di intelligence comune, un Fbi europeo. Il tutto, ovviamente, non può reggere senza una politica estera unica, che sia fondata su una sola voce dell’UE nelle sedi internazionali e sul voto a maggioranza nel Consiglio.

 

Dal punto di vista industriale, occorre recuperare il terreno perduto. Bisogna attuare pienamente gli obiettivi delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e affrontare nello stesso tempo i problemi della digitalizzazione e dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che potrebbero avere effetti devastanti sull’occupazione. In un mondo in cui i nuovi monopoli digitali fatturano più di un intero grande paese, godendo anche di paradisi fiscali nella stessa Eurozona, l’azione riformista dei nuovi vertici comunitari non potrà poi prescindere dall’istituzione di forme di tassazione europea degli over the top, dall’unione fiscale e dal completamento dell’unione bancaria, che non lasci soli i clienti di fronte ai fallimenti del mercato. Sempre in questo contesto, il Mercato Unico deve poter contare su strumenti antitrust nazionali ed europei indipendenti e rafforzati, che garantiscano i diritti di 500 milioni di consumatori.

Ma imprescindibile resta su tutto il versante economico il tema delle disuguaglianze. E’ urgente adottare politiche e misure europee per superare gli strumenti economici e finanziari adottati nell’UE dall’inizio della crisi, creare un welfare europeo e un mercato unico del lavoro, insomma un Social compact che si contrapponga al Fiscal Compact. E per rendere più sicuri i cittadini e i risparmiatori, va dato uno Stato all’euro. Di fronte ai grandi sconvolgimenti della globalizzazione, la politica monetaria della Bce non basta più. È essenziale che l’UEM sia dotata di un vero e proprio governo politico ed economico: dunque occorre creare degli strumenti finanziari per assicurare una prosperità condivisa, costituire un Ministero Unico del Tesoro che emetta Eurobond, ipotizzare anche strumenti di imposizione europea come le transazioni finanziarie, che vadano a finanziare politiche contro la disoccupazione.

Non si può però attuare nulla di questo programma senza radicare nelle fondamenta della società e tra i giovani il principio di cittadinanza federale attraverso la formazione. Questo obiettivo può essere raggiunto rendendo obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado lo studio dell’educazione civica europea, dei trattati e della futura costituzione europea, mentre vanno introdotti elementi essenziali di studio del diritto europeo in tutte le facoltà universitarie. Solo così avrà ancora un senso parlare di Unione di diversità nella libertà.

Solo così daremo uno stato ai cittadini europei.

Cari amici federalisti,  avete detto nello slogan del congresso che per cambiare il mondo bisogna cambiare l’Europa, credo che per cambiare l’Europa dobbiamo anche cambiare l’Italia, che l’Unione ha fondato.