Scrive su Milano Finanza Luca Gualtieri “pensavamo che l’immagine dell’italiano emigrante appartenesse a un passato in bianco e nero e invece negli ultimi anni sta tornando di stretta attualità”. E ha drammaticamente ragione. Secondo l’ISTAT il numero delle cancellazioni anagrafiche per trasferimento all’estero sta crescendo in maniera consistente dal 2010. Solo nel 2018 circa 160 mila connazionali si sono trasferiti oltre confine (+3,1% sull’anno precedente), il numero più alto dal 1981. Se si inizia a contare dal 2008, la cifra sale a circa due milioni di persone. Dovremmo preoccuparci tutti di questo dato. E da tempo.

Da tempo alcuni osservatori sostengono che l’unità nazionale sia in pericolo. Scollamento sociale, divisioni politiche e il progetto di maggiori indipendenze locali rendono il nostro paese più frantumato e vulnerabileMa la secessione più pericolosa non è quella tra Nord e Sud di cui si parla a proposito della riforma delle autonomie regionali, quanto quella che si è già compiuta tra giovani e il resto della popolazione. Tra chi ha potuto godere di investimenti in formazione e chi no. Tra chi ha lasciato il lavoro con il sistema contributivo o misto e chi andrà in pensione oltre i 70 anni con pochi spiccioli assicurati. Tra chi è rimasto in Italia e chi ora lavora all’estero.

 

Se l’ex ministro dell’Economia Tria ha messo a suo tempo in rilievo il deficit che accusa lo Stato dalla fuga dei cervelli, una ricerca dell’Ocse spiega come si sia creato questo buco di bilancio: c’è una netta interconnessione tra la spesa formativa per studente e la crescita del Pil pro capite. Più spendi per la scuola e più ti sviluppi. In questa graduatoria l’Italia si colloca ben sotto la media mondiale, con una spesa formativa per alunno di poco più di 7.000 dollari e una ricchezza per abitante di 36.000 dollari. Davanti a noi paesi che toccano quota 15.000 dollari per l’educazione primaria e secondaria, come la Norvegia, prima in classifica (reddito pro capite di 70.000 dollari) e molti altri che le si avvicinano quali la Svizzera (14.000 dollari spesi per studente e 60.000 dollari di reddito a testa), gli Stati Uniti (11.000 dollari e 57.000 di reddito pro capite), l’Irlanda (9.000 dollari contro 52.000), la Germania (10.000 dollari contro 48.000), la Gran Bretagna (12.000 dollari contro 42.000 dollari), la Francia (9.000 dollari a testa di spesa per alunno contro 40.000 di Pil pro capite).

 

Come tutte le classifiche può anche essere pedante e piena di numeri, macombinata ad un’altra graduatoria ad essa connessa, non lascia adito a dubbi su come il nostro paese spenda più per gli anziani che per coloro i quali dovrebbero dare un contributo decisivo al futuro del paese. L’Istituto Cattaneo, elaborando dati Eurostat, ha messo in relazione la spesa sociale in pensioni di anzianità e reversibilità con quella sociale e la quota di popolazione con più di 65 anni. Più sono alti questi rapporti e meno guardi al futuro. In questo caso siamo penultimi in classifica, con una quota del 59% (spesa pensionistica) e del 22% (over 65 su abitanti totali), davanti solo alla Grecia ma ben dietro tutti gli altri paesi, Germania, Francia e Gran Bretagna comprese. Non sorprende perciò che sia bloccato l’ascensore sociale. L’Italia è infattiall’ultimo posto nella graduatoria dei paesi più avanzati tra quelli i cui cittadini di 25-64 anni rivestono una posizione sociale superiore a quella dei propri genitori. La discesa delle classi è stata inarrestabile e davanti abbiamo spagnoli, irlandesi, francesi, tedeschi, norvegesi, americani, inglesi e tutti i paesi dell’Est Europa. Stanno tutti meglio di noi e il motivo è semplice: qualcuno ha investito sul motore del montacarichi, che se funzionasse ci farebbe primeggiare nel mondo.

 

Si può quindi discutere delle motivazioni che hanno spinto Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ad avviare un braccio di ferro col governo Conte I per ottenere un federalismo compiuto, probabilmente a danno del Sud, dove peraltro ci sono gli studenti migliori alla maturità, ma gli stessi governatori di queste tre ricche regioni d’Italia dovrebbero guardare un grafico, sempre fonte Istat: il saldo migratorio con l’estero degli italiani tra i 20 e i 34 anni e con un livello di istruzione medio alto. Se ne sono andati in molti negli ultimi dieci anni proprio dai loro territori. La Lombardia è al primo posto con 25.000 addii, seguita dai 12.000 abbandoni del Veneto e appunto dall’Emilia Romagna, con 10.000 ‘’fughe’’ di cervelli. Si fatica a comprendere a cosa serva avere più autonomia e spendere di più per chi resta, senza riuscire a fermare l’emorragia di forze giovani dal nostro territorio. Così come non si capisce a cosa serva di fronte a questa emergenza un nazionalismo come quello del governo gialloverde. Non c’è nulla di male ad essere sovranisti, a patto che si metta davvero davanti a tutto la Patria, l’interesse nazionale e la difesa del presente dei nostri ragazzi. Ma se si permette a oltre 140.000 laureati di lasciare il paese, il sovranismo diventa masochismo e la decantata sovranità diventa sovranità limitata. E nulla potrà quando tra poco resteranno in Italia solo pensionati, badanti e lavoratori attivi tra i quaranta e i sessant’anni, con un peso enorme sulle spalle: mantenere in piedi gli ottimi livelli di assistenza, senza avere però un futuro migliore del passato dei propri padri. Una miniera sociale che ci trasformerà in una splendida ma pur sempre gigantesca casa di cura quando potremmo essere molto di più.