Non è un caso che il primo vertice bilaterale di Trump sia stato quello con Netanyahu. I rapporti tra Usa ed Israele sono infatti materia serissima delle relazioni internazionali, e cruciale in quelle del campo occidentale. Lo sono perché nel dossier dei rapporti bilaterali vi è per forza di cose anche quello assai spinoso della situazione del popolo palestinese, oltre a quelli regionali del terrorismo jihadista – e della guerra all’ISIS – e del rapporto con l’Iran.
L’elezione di Trump è stata frettolosamente salutata dalla destra ebraica ora al governo di Israele con salve di giubilo. In particolare, per la sua visione del medioriente e del rapporto con l’Iran. Qui del resto si gioca da venti anni in occidente la partita identitaria sul “chi siamo”. Ed ora Trump sembra poter interrompere la narrativa tutta politica di Obama, per tornare alla visione neocon dell’Iran come nemico esistenziale e non avversario negoziale, e dell’Islam come religione “nemica”. Un ritorno desiderato dalla destra occidentale, perché lo sviluppo di un’identità collettiva ha un suo primo cruciale passaggio relazionandosi ad un “gruppo negativo” esterno capace di generare per contrasto i primi nuovi legami di solidarietà interni, e dell’Iran e dell’Islam come nemici esistenziali la destra occidentale ha bisogno. L’auspicio infatti è quello di poter tornare all’agenda neoconservatrice post- 11 settembre di George W. Bush, che moralisticamente divideva il mondo in “buoni” e “cattivi”, oppure in “luce” e “tenebre” secondo la terminologia del suo vero ispiratore Benjamin Netanyahu. In tale ottica il terrorismo jihadista globale nasceva nelle tenebre dell’Islam, e l’unico rimedio era esportare la nostra democrazia, perché radice del male erano gli “stati canaglia” – specie se mussulmani – e non gli stati falliti”. Il velleitarismo e il dogmatismo di tale agenda, soprattutto in Iraq, ha però finito per estenuare il popolo americano, che nel 2008 con Obama gli ha votato contro.
Oggi quella Presidenza esce di scena senza eredi, e per la destra israeliana pare dunque riaprirsi un maggiore spazio internazionale. Essa però rischia di essere delusa. E non solo o non tanto perché il Trump Presidente ha dei condizionamenti statuali che il candidato Trump in libertà non aveva. Quanto piuttosto per ragioni più strutturali. Mentre infatti nel periodo tra l’11 settembre e la vittoria di Obama nel 2008 Netanyahu e la Presidenza Usa erano una cosa sola, con Trump potrebbe non essere più così. Con Bush coincidevano infatti sia la visione dei rapporti con l’Altro – una dottrina “morale” della lotta al terrorismo che faceva perno sull’antislamismo e sullo scontro tra civiltà – sia la visione di sé, della propria identità occidentale, costruita su un avvincente e vincente mix di fiducia nei propri assoluti valori di libertà e della loro esportazione. Insomma, un’identità “neo-imperiale” per l’occidente – con a capo gli Usa – che dichiarava la propria autostima e grandezza rispetto al mondo esterno. Con Trump le cose rischiano di cambiare. Perché con il neo Presidente Usa senz’altro coincidono le rispettive visioni dell’Altro come nemico esistenziale, e vigoroso appare l’antislamismo moraleggiante di entrambi. Divergente sembra però la visione della propria identità occidentale. Mentre infatti Netanyahu è ancora legato ad un liberismo in politica economica che fa il pari con una visione politica dove la libertà è anche libertaria, Trump è invece il sintomo dell’avanzare in politica interna (e commerciale) di un’altra destra rispetto a quella di Bush. E’ una destra razzista, suprematista bianca, isolazionista. Questa destra ha in odio il tollerante multiculturalismo obamiano, ed anche l’indifferenza razziale di G.W Bush. Una destra che adesso realisticamente non nega la crisi e il declino (relativo) degli Usa nel nuovo secolo, come invece facevano i neoconservatori, ma propone di reagire a questo declino isolandosi. Non rilanciando il ruolo degli Usa quali mediatori e non più risolutori dei conflitti, come Obama. Bensì alzando muri. Anche all’interno. Ma all’ennesimo segnale di razzismo o disinteresse per le minoranze, e alla reazione dell’ebraismo americano ed europeo, cosa farà il governo di Israele?