Fonte: Rapporto Vox (2015/16) sull’intolleranza e l’odio in Italia, https://youtu.be/bcnQfTQ4JBY

Dopo l’aggressione alla troupe Rai ad Ostia, il successo elettorale di Casa Pound, la manifestazione xenofoba di Varsavia, sembra che ci sia una sorta di sveglia dal torpore dei media e dell’opinione pubblica rispetto alla diffusione del neofascismo in Italia. Si scopre tardivamente che l’indignazione è un sentimento di cui siamo ancora capaci e in molti stanno smettendo di dire “lascia che sia” per iniziare a riflettere qualche secondo in più su un argomento per cui difficilmente si trova il tempo nella routine quotidiana tra il lavoro, lo studio, lo sport e le serie tv: la dignità della politica e la memoria. Sono due concetti così grandi e che hanno preso strade così diverse nella percezione dei cittadini, che a metterle insieme in un’unica frase sembrano stonare. Appare come un discorso retorico, infastidisce. Però, forse quello che dovrebbe veramente infastidire è che in un comune della provincia di Roma, dopo il commissariamento per infiltrazioni mafiose, sono andati a votare solo il 36 % degli aventi diritto e una forza neofascista ha quadruplicato i consensi. Il fatto realmente assurdo di questa ennesima vicenda è che oggigiorno nessuno perde e nessuno si prende le responsabilità per quello che succede, non esistono sconfitti, tutto avviene in una “terza realtà” che sembra prescindere dai partiti. Intanto però le persone si sentono sempre meno rappresentate, provano una sfiducia progressiva per le istituzioni, si affidano a forze antisistema più radicali. Stiamo facendo del “populismo”? No, questo è uno spaccato della nostra società (sicuramente semplificato) che hanno condotto sociologi come Bauman o Beck, nel guardare alla crisi sistemica dell’Occidente ma che in Italia vive una situazione del tutto sui generis.

Non ci proponiamo di fare un’analisi approfondita su questo fenomeno, ma solo di fornire una possibile interpretazione della situazione attuale al lettore. Una cornice che aiuti a riflettere. Per quanto “la galassia nera” rappresenti oggettivamente solo una ristretta minoranza trascurabile di militanti attivi, occorre guardare al contesto in cui queste persone agiscono che non li rende solo dei semplici nostalgici o dei custodi della purezza di un ideale distorto. Se vivessimo in una società e in uno stato “sani” non ci sarebbero grossi problemi di questo tipo su cui soffermarsi, purtroppo invece la condizione in cui si trovano l’Italia e l’Europa richiede di riflettere e distinguere il fascismo del nuovo millennio dai residuati dei decenni precedenti.

I fascisti “del nuovo millennio”

Lasciamo da parte la discussione su quanto sia utile dare visibilità e portare in TV i fascisti, perché questo continuo interrogarsi sullo scandalo del “porno” mediatico per fare audience (dai programmi di natura politica a quelli di intrattenimento) è diventato esso stesso una forma di autocompiacimento nell’inattività e nella mancata pretesa di comprendere il problema. Un manierismo radical chic che non porta a niente. Andiamo, invece, per passi concreti e cerchiamo di fare un’analisi di quello che realmente ci circonda. C’è stato un ammantarsi, un tentativo di “costituzionalizzazione” di una parte delle forze politiche nate dalle costole di Terza posizione che hanno visto una crescita progressiva dei consensi e addirittura un sindaco eletto nel bresciano. Dunque, mentre Casapound si rende accettabile, dall’altra parte abbiamo Forza Nuova che per distinguersi dal cugino cerca di dare una scossa più fedele alla tradizione neofascista. Per leggere il neofascismo, non basta interrogarsi sul fenomeno in sé, ma occorre elevare l’analisi almeno su due livelli sopra l’esigua, ma neanche troppo, “forza nera”: la società e le istituzioni.

In verità non è poi così da sottovalutare il fascismo nostrano, anche se in tanti lo trattano quasi con curiosità folkloristica. Perché?

Innanzitutto perché esiste un sistema capillare di pagine schiettamente fasciste attive sui social che, censite dal gruppo di ricerca dell’Anpi, superano le 4000 unità con il contorno di gruppi e siti per la propaganda di odio e fake news (secondo lo studio Galassia nera vengono aperte più di 40-50 pagine al mese di questo tipo).

In secondo luogo, secondo le cronache, perché i militanti di estrema destra hanno compiuto almeno una decina di aggressioni in 10 mesi su tutto il territorio nazionale. In terzo luogo, perché a leggere le inchieste condotte da Repubblica, Linkiesta e L’Espresso, i partiti neofascisti accederebbero a consistenti finanziamenti. Infine, perché oltre a fare “bangla-tour” (la caccia al migrante che si risolve in pestaggio) e conferenze o seminari per diffondere l’odio e la xenofobia, si costruiscono delle vere e proprie scuole di “formazione” per i ragazzi su tutto il territorio nazionale.

Prendiamo l’ultima indagine condotta dai carabinieri su Forza Nuova, i militari del Ros ricordano come “le attenzioni del gruppo si concentrino sull’attività di indottrinamento dei giovani sin dall’età adolescenziale, al fine di meglio coinvolgerli in una devota condivisione di intenti dettati dal movimento e ai quali ispirare la propria militanza e la propria vita (…).Tale capacità di trasportare i minori in un contesto caratterizzato da dettami rigidi e intriso di odio e razzismo evidenzia la portata reale della pericolosità di un gruppo che riesce così a radicarsi negli aderenti sia da un punto di vista ideologico che comportamentale”. Ovviamente in questi corsi di indottrinamento non ci si limita solo ad un’analisi dell’impianto teorico, ma si coniuga anche la preparazione fisica e l’addestramento all’uso di mazze, coltelli and co. Il risultato ce lo dicono ancora le carte degli investigatori: “un marcato assoggettamento dei giovani componenti del gruppo nei confronti dei membri più anziani, associato a un’intensa opera di proselitismo e indottrinamento svolta costantemente da questi ultimi anche in modo violento. L’insita pericolosità si esplicitava con l’addestramento dei giovani militanti all’uso delle armi bianche”. Questo è un punto nodale. I giovani sono il futuro, se perdiamo loro, anche le battaglie di oggi perdono ogni significato. Come criticamente sosteneva il partigiano e medaglia al valore Luciano Bolis: “Direi che questo appello ognuno lo dovrebbe rivolgere prima di tutto a se stesso nel momento in cui forse è in gioco tutta la formazione della futura generazione; perché dipende dal risultato di questa partita che l’insegnamento, i libri di testo, la stessa formazione degli insegnanti, possano assumere un indirizzo piuttosto che un altro. Evitando quindi di sedersi nel mezzo senza prendere posizione, adottando un atteggiamento di ignavia, di inerzia, di panciafichismo che non contribuirebbe certo ad affermare valori che meritano di essere affermati positivamente, sottolineando invece la continuità del filone che dall’antifascismo va alla Resistenza e dalla Resistenza al federalismo ed alla costruzione della democrazia di domani… è colpa nostra se oggi ci troviamo di fronte a una gioventù assolutamente impreparata a valutare in termini storici il fenomeno della Resistenza e del post-fascismo. La responsabilità è degli stessi antifascisti, per non essersi sufficientemente preoccupati di questo aspetto della loro missione – senza parlare delle responsabilità di coloro che ora si apprestano a sfruttare questa diffusa ignoranza falsando in modo così assurdo la storia, nei confronti dei quali non possiamo che nutrire il più profondo disprezzo”.

La narrazione distorta della politica

È in corso negli ultimi anni una legittimazione trasversale da parte delle istituzioni al fascismo attraverso l’adozione di categorie incolore per guardare al passato. Vuoi per ignoranza, per noncuranza, per buonafede. Il problema è il risultato, ma chiariamolo subito: non si può essere equidistanti. L’antifascismo non ha destra o sinistra, non ha colore politico, è il fondamento della nostra Repubblica e della società europea. Il fatto è che in memoria dell’oblio del passato, in favore di un futuro come comunità nazionale, si giustificano le peggiori aberrazioni (come successo recentemente a Genova). Non è ammissibile che lo Stato partecipi al ricordo degli internati nei campi di concentramento e poi porti una corona civica ai caduti repubblichini. Questo appiattimento valoriale non possiamo permettercelo. Oltre al discorso sulla memoria neo-nazionale, c’è inoltre un problema di linguaggio politico, il nodo è la “continuità di significati” con i discorsi di schieramenti comunque democratici, con cui le forze dichiaratamente fasciste hanno guadagnato negli anni una maggiore accettabilità e agibilità politica e mediatica accompagnata da una banalizzazione crescente delle forme concrete di razzismo e fascismo. Dovrebbe finire il tempo dei partiti che inseguono l’elettorato sparando al ribasso, svendendo i valori europei e democratici perché costano troppo in punti percentuale. Con questa visione del dibattito pubblico, elevando i social a strumento assoluto di informazione e di politica, si è instaurato un sistema di giustificazione incondizionata delle opinioni “sdoganando” l’inaccettabile: tutto viene automaticamente concesso in considerazione della mera libertà di espressione. Dimenticando la lezione di Popper, la conseguenza più tangibile è un appiattimento sullo stesso piano di legittimità della realtà. Qualsiasi filtro morale, politico e intellettuale viene annullato e quindi tutto diventa ugualmente vero, giusto o ammissibile. A tal proposito, il noto storico Alessandro Barbero, in una recente intervista ricorda: “oggi osserviamo che con l’allontanarsi sempre di più dei sentimenti antifascisti del Dopo Guerra rischiano di riaffiorare sentimenti inappropriati per una civiltà evoluta, che inducono una buona parte della popolazione ad autorizzare concetti del tipo: in fondo il fascismo non era così brutto”. Per spiegare questa riflessione occorre però aprire un’ultima parentesi sulla crisi della società e della cultura.

La crisi delle prospettive

Questo discorso necessiterebbe di una bibliografia ad  hoc, ma dobbiamo almeno cercare di distinguere le differenti origini della tendenza autoritaria in corso dai residuati nostalgici fascisti. Per quanto questi ultimi abbiano “inquinato” il dibattito pubblico, come abbiamo riportato sopra, sono altre le cause che rendono “emergenziale” la nostra situazione. La mancanza di sicurezza e l’impossibilità di progettare il futuro, il mondo post-ideologico, il non-governo della globalizzazione creano le premesse per un’involuzione nella tutela dei diritti e della democrazia preparando il pericoloso terreno di una “guerra tra poveri”. In particolare, gli stati nazionali e le istituzioni europee vivono una seria mancanza di legittimità perché incapaci di risolvere i problemi di fondo della politica interna e della politica internazionale, di garantire cioè l’espansione economica e la sicurezza (civile e sociale) dei propri cittadini che è la base su cui si fonda la sovranità.

Questo avviene perché il nostro sistema politico è organizzato su base nazionale e non è in grado di governare problematiche diventate ormai pienamente sovranazionali: non ne ha gli strumenti (immigrazione, finanza, criminalità internazionale, tutela dell’ambiente, ecc.) e non ne ha concessi a livello europeo. La politica nazionale si è ridotta così all’arte dell’amministrare l’esistente al ribasso, perdendo la possibilità di incidere sul futuro, allargando un polo sempre più vasto al centro per i partiti e sbiadendo il senso di una destra o di una sinistra nello schieramento parlamentare. Per i cittadini è diventato difficile distinguere quali siano le menzogne, fondate sull’illusione di ancoraggi obsoleti, e quali le cose effettivamente realizzabili. Si è progressivamente radicalizzato il conflitto in uno scontro, come previsto da Altiero Spinelli, tra chi cerca di governare le cose delegando il potere sul piano sovranazionale e chi vuole tornare indietro ad un passato impossibile poiché gli stati nazionali appartengono ad un tempo ormai lontano in cui le comunicazioni non andavano alla velocità di un click e dieci multinazionali non erano certo in grado di raccogliere più introiti di 180 paesi messi insieme (dati Oxfam). Non ci soffermeremo oltre sulla crisi delle ideologie e delle prospettive in cui siamo costretti a vivere, ma possiamo comprendere agilmente come questo terreno di povertà e sfiducia sia fertile per gli estremismi di ogni colore.

Una possibile via d’uscita

Come nell’interpretazione (seppur molto criticata) di Nolte, il fascismo deve essere contestualizzato nella sua epoca e non può essere trattato come una semplice ideologia di un gruppo di fanatici considerata come il “male assoluto” e quindi esterna alla comprensione dello storico. Se si è realizzato un regime fascista è per precise cause connesse ad una forte crisi economica, sociale e internazionale. Non vogliamo fare inutili parallelismi col passato, ci rendiamo conto che sia impossibile il riproporsi di un regime con le stesse esatte caratteristiche di quello del ventennio. Ma siamo davvero sicuri di essere immuni ad ogni genere di autoritarismo? La storia non corre su un binario che ha un termine definito, non esiste un progresso infinito dei diritti, del benessere, dello sviluppo. Non ci sono necessità nella storia. Per esempio, così come per noi oggi è impensabile un ritorno ai traumi del Secolo Breve, prima che si verificasse, era impensabile un qualsiasi conflitto delle proporzioni della Grande Guerra (vedi “The Great Illusion”). Dobbiamo cercare di percepire i segnali che ci sta dando la realtà prima che sia troppo tardi.

Le forze antifasciste devono cercare di non chiudersi nella rappresentanza di una singola parte politica, monopolizzando la memoria della Resistenza a rappresentare solo l’appoggio di alcuni partiti politici (per altro evidentemente in crisi). Stiamo parlando di un valore che dovrebbe essere condiviso da tutta la società, decisamente trasversale, che non può restare recluso in schieramenti perché ha al centro la dignità umana. Non possiamo piegarci sul passato, ma utilizzarlo per guardare decisamente al futuro con l’obiettivo di organizzare un fronte comune.

Un’occasione di riscatto in questo senso è rappresentata dall’Europa, che deve tornare ad essere una speranza per tutti, non solo per una ristretta élite o perché è “il male minore” di un mondo senza prospettive. Per combattere il fascismo non basta più il solo rifiuto di una cultura e una pratica politica obsoleta ormai normalizzata, ma è essenziale ricostituire l’impegno per la costruzione di un nuovo ordine democratico a livello sovranazionale fondato sui principi dell’antifascismo. Allo stesso modo, non basta la mera opposizione al revanscismo nazionalista, ma diventa sempre più urgente un cambiamento istituzionale e costituzionale dell’Unione Europea in senso federale che garantisca realmente libertà, democrazia, diritti e welfare. Solo così avremo dato sia una prospettiva credibile ai cittadini per combattere il fascismo “del nuovo millennio”, sia una risposta al pericolo di crollare di nuovo in una crisi a spirale come quella degli anni ’30.

In sintesi, non è più sufficiente la mera negazione e decostruzione delle idee illusorie e menzognere del fascismo e del nazionalismo, ma è necessaria una campagna di contenuto istituzionale e politico, una battaglia sul piano continentale. L’obiettivo deve essere quello di completare il sogno della Resistenza, realizzare un’Europa unita e democratica. Vediamo che intorno a noi le cose iniziano a muoversi, ci sono i giovani antifascisti che fanno rete con proposte politiche specifiche, mentre le istituzioni cercano di salvaguardare la memoria storica, ma questo non basta. Come le forze nazionaliste e neofasciste hanno paradossalmente un collegamento internazionale e non conoscono confini, così dovrebbe organizzarsi chi sta portando avanti la battaglia per la democrazia in Europa.