di Masha Musil
A una prima impressione è apparso un derby tra populismo e istituzioni, ma a un occhio più attento c’è stato molto altro dietro al confronto, in realtà un colloquio, tra Sergio Mattarella e Donald Trump. Da una parte c’è stata l’irruenza di un uomo istrionico e di un paese con pochi secoli di storia, e dall’altra il garbo di un uomo colto ma anche di un Paese e di un continente carichi di una storia che a volte rallenta il passo. Ma soprattutto ci sono due visioni contrapposte del ruolo di un presidente, della politica e delle prospettive dei rispettivi paesi. Se il presidente americano si mangia gli avversari e i giornalisti in un profluvio di parole, offese, accuse e dileggi, è anche vero che il suo orizzonte è limitato ai confini nazionali. “Sono l’unico presidente che è riuscito a strappare 7,5 milioni di dollari che andranno ai farmers e ai contribuenti americani” ha rivendicato davanti a un allibito Mattarella parlando dei dazi. I farmers sono tra i suoi principali elettori e tra un anno ci sono le elezioni, che lo vedranno arrivare con il peso (che secondo alcuni sarà invece un plus agli occhi di chi lo ama) di un impeachment. E gli Usa, ha spiegato Trump, “non possono più fare i poliziotti del mondo. In Medio oriente si fanno la guerra da secoli, se la cavino da soli”. Un atteggiamento, che spesso però cela comunque un saldo controllo di aree di interesse economico, decisamente non interventista e di disimpegno rispetto al passato. Money, money, money, insomma. Mentre il presidente Mattarella ha contrapposto, con felpatissima determinazione, una visione istituzionale, geopolitica, multilaterale. Difronte al debordare dialettico e scomposto dell’ospite ha rivolto garbate parole all’alleato, ha rifiutato di esprimere giudizi su di lui, nonostante le richieste dei giornalisti americani, ma al momento giusto, a metà dello sproloquio di quaranta minuti del presidente Usa, si è ritagliato cinquanta secondi per chiedere, pare con qualche piccolissimo successo, che sui dazi l’Italia venga tutelata, ma sempre nell’ambito di una iniziativa europea. E di fronte alle accuse tranchat di Trump, che ritiene il vecchio continente “unfair” nei commerci, ha difeso la visione dell’Unione europea, unione di valori e principi di democrazia. E ha spiegato all’aleato che l’asse transatlantico, che ha nella Nato il suo braccio armato, è stato garanzia di stabilità nel mondo. Non solo nel vecchio mondo, ma anche nel nuovo. E ha ricordato a Trump che chiede più soldi all’Italia per la Nato, che proprio noi siamo stati il secondo contingente più numeroso accanto a quello americano in Afghanistan quando gli Usa, dopo l’11 settembre, erano piegati dal dolore. Due mondi, due visioni, due stili.

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