Qualche anno fa la Banca d’Italia pubblicò uno studio sulla propensione ad
evadere degli italiani. Documentava, dopo varie interviste mirate, che
nell’arco di vent’anni, dagli ottanta al duemila, da una piccola minoranza
quasi due abitanti su tre (due su tre) dell’amata penisola consideravano
“normale’’ un tasso di infedeltà fiscale. Non ci fu nessuna levata di scudi,
anzi, la ricerca è rimasta uno sparo nel buio. E per giunta a salve. Mi è
tornata in mente lavorando al capitolo sui tributi nel mio nuovo libro Gli
Arrabbiati e rappresenta credo anche la lente con cui si deve osservare il
dibattito scatenatosi attorno all’annuncio che il governo Conte perseguirà i
furbetti che incasseranno, non avendone diritto, il famoso reddito di
cittadinanza. La misura per coloro che sono in condizioni di povertà inserita
nella prossima manovra cambierà infatti il paradigma degli ultimi trent’anno:
si passerà dalla lotta agli evasori alla caccia ai veri poveri. E questo,
purtroppo, non è un paradosso, anche perché non sarà facile individuare chi
avrà diritto ai 780 euro. Ce lo dicono le statistiche e il nostro Dna.

Inutile favoleggiare di riduzioni fiscali, di flat tax, o di bonus bebè, famiglie e
studenti. Finché verrà assecondata la rimozione collettiva di un problema che
va affrontato con la stessa determinazione con cui si è combattuto il
terrorismo e la mafia nulla cambierà. L’evasione fiscale, calcolata
sommariamente intorno ai 100 miliardi di euro, è il vero cancro della società
italiana, perché nei fatti impedisce allo stato di utilizzare questi soldi per
ridurre il debito pubblico, visto che ogni anno deve trovare tra i 60 e gli 80
miliardi di euro solo per pagare gli interessi ai propri creditori. Chi evade non

solo non fornisce il suo contributo di cittadinanza ma usa indebitamente tutti i
servizi pubblici, comportandone di conseguenza l’aumento dei costi.
Nel 2014 il tax gap, ovvero la differenza tra le imposte che si dovrebbero
pagare e quelle effettivamente incassate dall'Erario, si è allargato a 111,6
miliardi di euro da 108 miliardi del 2012. Dalle badanti alla bottega sotto casa,
dalle costruzioni ai servizi per le imprese: questo divario fiscale oscilla tra
il 20 e il 30%. Ed è particolarmente marcato proprio nei servizi alle famiglie,
dove il sommerso è al 30%, per scendere poi al 26% nel commercio e nei
pubblici esercizi, al 24% nelle costruzioni e al 20% nei servizi alle imprese.
Nel solo 2014 il buco di imposte pagate – rispetto al dovuto – si
impenna quando in ballo ci sono i redditi del lavoro autonomo e d'impresa:
per questa tipologia di Irpef il tax gap si attesta al 59%, mentre per il lavoro
dipendente è al 4% e per l’Iva al 30%. Serve quindi una legge chiara per
punire gli evasori e premiare aziende e contribuenti onesti con una
riduzione delle imposte. Tra l’altro esisterebbe anche un
Fondo Tagliatasse da alimentare con il recupero del maltolto. L’intera
collettività deve capire, e in questo la scuola avrebbe un ruolo fondamentale,
che questa è l’ingiustizia sociale più evidente, che rende l’Italia diversa da
tanti partners europei e fa crescere appunto la spesa pubblica per tutti i
servizi e lievitare il debito pubblico, che lo Stato ogni anno deve contrarre. La
tirannia dell’evasione pervade una comunità intera. Dalla dichiarazione di
situazione economica, alle mense scolastiche alle rette universitarie per finire
all’economia sommersa, il paradiso in terra fiscale è uno Stato nello Stato.
Servono quindi leggi speciali, senza se e senza ma e senza ricorrere al Fisco
amico che serve solo ad indorare la pillola ai milioni di italiani – tra cui molti
imprenditori – che invece versano all’erario tra il 30 e il 60% del loro reddito. Il
Fisco può essere amico solo con chi gli è fedele o con chi ha avuto oggettive
difficoltà nel pagare le cartelle, forse anche perché a qualcuno non sono mai
arrivate.

Parlare di furbetti riferendosi a chi evade o a chi si finge povero fa arrabbiare
l’intera maggioranza degli onesti. Suggerisco di usare un altro termine:
evasori sociali, perché spiega bene il reato tributario e il suo rovescio, la
mancata partecipazione alla suddivisione dell’onere dei servizi pubblici, di cui
comunque si usufruisce, facendo peraltro aumentare il debito pubblico. Così
smetteremo tutti di pensare che si tratti solo di innocenti evasioni.