Francamente questa storia dell’esile curriculum vitae di Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento Cinque Stelle, non è rilevante, sembra buona solo per il dibattito sui social, inevitabilmente fugace.

Se Di Maio ha fatto quei lavori, anche saltuari, lo steward come il tecnico o il manovale, non c’è nulla di cui vergognarsi e nulla di cui preoccuparsi. Tutt’altro. È offensivo verso tutti coloro che continuano a fare questi mestieri.

Così come non è un tema criticare i suoi 189 voti alle Parlamentarie grilline. La maggioranza dei parlamentari è – e anche in futuro sarà così – finita in lista semplicemente nominata da una persona.

Dobbiamo preoccuparci piuttosto della perdita della memoria condivisa, del negazionismo, dei tanti nuovi nazionalismi, del ritorno del fascismo in diverse forme più o meno sotterranee. Dobbiamo sconfiggere la dittatura della mediocrità, che svilisce ogni talento e sopprime moralmente ogni successo personale, propagandosi come un virus nella pubblica amministrazione e nel privato.

E, a proposito di memoria, non dimentichiamoci di aver avuto governi per decenni composti da politici di professione e successivamente da tecnici e protagonisti della scena economica. Tre nomi su tutti.

Giulio Andreotti, già nato con il vestito blu da sottosegretario nei primissimi governi della Repubblica, ha sempre fatto quello ed è stato Presidente del Consiglio sette volte, non riscontrando mai il convinto sostegno popolare o anche solo dell’intero suo partito, la Democrazia Cristiana.

In tempi più recenti, il governo di Mario Monti aveva invece più lauree che ministri eppure ha fatto errori da dilettanti. Che poi l’Italia non sia un’azienda lo sa bene ormai anche Silvio Berlusconi, che quando sosteneva questo assioma è stato prima criticato aspramente, lungamente irriso, infine sconfitto, in primo luogo dall’impossibilità di trovare una soluzione all’inesistente equazione Stato=Impresa e poi dal tempo perso per cercarla.

Il confronto si deve basare sulle idee, sulla capacità di difenderle, sulla penetrazione politica, sull’interpretare al meglio la richiesta di tutela dei diritti che arriva dalla società.

Le strade dei fallimenti sono lastricate di curricula straordinari. Quello dei politici si costruisce solo strada facendo. Ce ne sono pochi che possono dire di averlo fatto. Alcide De Gasperi, Bettino Craxi, Marco Pannella, Nilde Iotti, Carlo Azeglio Ciampi. Li valutiamo oggi per averci lasciato un’Italia migliore, più forte, più libera. A prescindere dal loro cammino personale precedente all’esperienza politica.