Recita l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Ma in che termini si traduce questa tutela oggi?

Le Nazioni Unite (ONU) sono state create con l’obiettivo di promuovere la pace e la cooperazione internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale. La fondazione dell’Organizzazione, formalizzata attraverso l’omonima carta adottata il 26 giugno 1945, vede nel Preambolo dello Statuto una dichiarazione fondante: i popoli si impegnano a “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. 

I numeri della guerra

Attualmente, i conflitti in corso sarebbero 27, secondo quanto riporta il Global Conflict Tracker del Center for Preventive Action (CPA), che è una guida interattiva ai conflitti in corso nel mondo che preoccupano gli Stati Uniti. Secondo invece quanto riportato da ACLED (The Armed Conflict Location & Event Data Project) nel complesso dal 2022 la violenza politica è aumentata del 27% a livello globale, con circa 1,7 miliardi di persone esposte ai suoi effetti. Diversi attori hanno contribuito all’aumento della violenza, tra cui forze statali, milizie governative, gruppi armati non statali, organizzazioni criminali e mercenari. La diffusione di attori violenti è indicativa di un insuccesso nel creare strutture di governance capaci di favorire stabilità e prosperità e di promuovere soluzioni pacifiche per i conflitti più gravi nel mondo. Sempre ACLED riporta, come evidenziato nel grafico allegato, sia il numero di battaglie globali che le violenze contro i civili (dati aggiornati a gennaio 2024). 

The Armed Conflict Location & Event Data Project

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: tra ideale di pace ed effettiva tutela

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rappresenta uno degli organi più rilevanti all’interno delle Nazioni Unite, giocando un ruolo cruciale nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Tuttavia, la sua struttura e il suo funzionamento sollevano questioni fondamentali riguardo alla democrazia e all’efficacia delle sue azioni. Ai sensi dell’articolo 23 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza è composto da quindici membri, di cui cinque godono dello status di membri permanenti con diritto di veto, mentre gli altri dieci vengono eletti dall’Assemblea Generale in base a un sistema di rotazione. Questa composizione riflette i rapporti di forza esistenti nella comunità internazionale, con i membri permanenti che mantengono un potere decisivo nelle decisioni del Consiglio. La responsabilità principale del Consiglio, come stabilito dall’articolo 24 della Carta, è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tuttavia, la sua capacità di agire in modo indipendente è stata messa in discussione a causa del potere di veto conferito ai membri permanenti.  Un elemento chiave nella discussione sulla funzione del Consiglio di Sicurezza è l’uso della forza, attribuito esclusivamente a questo organo dall’articolo 42 della Carta. Sebbene la Carta originariamente prevedesse la creazione di un esercito permanente sotto la sua direzione, questa idea non è mai stata attuata. Invece, il Consiglio ha operato principalmente attraverso due modalità alternative: la costituzione di Forze delle Nazioni Unite ad hoc e la concessione di deleghe agli Stati per l’uso della forza.

Le operazioni di peacekeeping e peace-enforcing: uno sguardo nel tempo

Con il concetto di peacekeeping si intendono tutte quelle attività volte a prevenire, moderare e porre fine ad un’ostilità tra nazioni o tra fazioni di una stessa nazione. Tali operazioni sono condotte mediante l’intervento imparziale di una terza parte, che è composta da contingenti nazionali di soldati, di polizia e di funzionari civili, con il fine di restaurare o mantenere la pace. Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite hanno una storia ricca e articolata che inizia nel 1948 in Medio Oriente, con l’incarico di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e i Paesi arabi circostanti. Questa prima missione, nota come United Nations Truce Supervision Organization (UNTSO), comprendeva osservatori militari non armati e truppe leggermente armate, con il compito di monitorare il cessate il fuoco e prevenire l’escalation di incidenti. Il cambiamento verso missioni armate è iniziato nel 1956 durante la crisi del Canale di Suez con la First United Nations Emergency Force (UNEF1), istituita per affrontare le reazioni internazionali all’attacco di Israele in Egitto. Questa missione ha segnato un punto di svolta, definendo le linee guida per le operazioni di peacekeeping successive. Nel corso degli anni, numerose missioni sono state lanciate, affrontando la complessità dei conflitti intra-statali e delle guerre civili che sono emerse dopo la Guerra Fredda. Tra il 1989 e il 1994, una crescente fiducia nelle operazioni di peacekeeping ha portato all’autorizzazione di ulteriori 20 missioni, coinvolgendo oltre 75.000 peacekeepers. Tuttavia, molte di queste operazioni, come la UN Protection Force in Jugoslavia e la UN Assistance Mission for Rwanda, sono state criticate per la mancanza di risorse e supporto politico adeguati, portando a un aumento delle vittime civili. Dagli anni ’90, in seguito a fallimenti e criticità umanitarie, è emersa la necessità di riformare le operazioni di peacekeeping. Nel 2000, il Brahimi Report ha sottolineato la necessità di un rinnovato impegno politico, cambiamenti istituzionali e un aumento del supporto finanziario. In particolare dopo il 2001 le operazioni di mantenimento della pace sono state caratterizzate da un uso maggiore della forza.  Infatti, a partire dagli anni Duemila, è stata attribuita all’ONU la funzione di perseguire l’obiettivo di pace tramite l’esercizio di attività di carattere coercitivo, definendo tali azioni come di peace enforcement. 

Fonti: