(pubblichiamo la newsletter di Francesco Maselli, Marat, sul risultato delle elezioni europee in Francia)

Il Rassemblement national di Marine Le Pen è di nuovo il primo partito di Francia, confermando che le elezioni europee sono uno scrutinio tendenzialmente favorevole all’estrema destra francese. La République en marche – Renaissance, la lista di Emmanuel Macron, arriva seconda, anche se di poco, non molto lontana dal suo risultato delle presidenziali del 2017, quando aveva raccolto il 24%.

Come potete notare dal grafico, il sistema politico francese si sta riorganizzando intorno al bipolarismo progressisti/nazionalisti incarnato da Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Era una strategia rivendicata da entrambi i leader politici già dalle elezioni presidenziali di due anni fa, che viene confermata da questi primi anni di governo macronista e dal primo test elettorale. Il risultato degli altri partiti è parte anch’esso della ricomposizione del sistema: Europe écologie – Les Verts, i Verdi, beneficiano del crollo della sinistra radicale di Jean Luc Mélenchon e del Partito socialista, ormai irrilevanti; i Républicains, il centro-destra moderato, che lottava per la sua sopravvivenza politica in queste elezioni, è al di sotto del 10%. Un disastro per il partito e per il suo leader, Laurent Wauquiez, che ha davanti settimane complicate in cui dovrà giustificare la sua permanenza alla presidenza.

Marine Le Pen insieme a Jordan Bardella, il capolista giovanissimo (23 anni), che ha guidato il Rassemblement national in queste elezioni europee

Da un punto di vista pratico, per il presidente francese essere arrivato secondo non è un disastro: con tutta probabilità raccoglierà soltanto un seggio in meno rispetto a Marine Le Pen, dunque il suo partito sarà uno dei più importanti nel prossimo Parlamento. Tuttavia, non essere più la prima forza francese pone un problema politico da gestire. Sul piano interno, perché mostra che il Rassemblement national non è affatto morto, e che i francesi hanno in qualche modo sanzionato il governo. Sul piano europeo perché mostra un presidente indebolito non soltanto dal contesto politico, ma anche dal voto. Certo, La République en marche e il suo gruppo europeo (che darà vita a un nuovo gruppo di centro sul modello dell’Alde), rappresenterà l’ago della bilancia per formare una maggioranza europea: i partiti tradizionali, socialisti e popolari, non riusciranno, da soli, a eleggere la Commissione europea. Macron potrebbe essere quindi indispensabile e avrà un ruolo influente nelle decisioni del prossimo governo dell’Unione. Ma non è nemmeno detto: i due partiti principali potrebbero eleggere la prossima Commissione europea alleandosi con i Verdi, senza bisogno di trattare con Macron. È uno scenario meno probabile, che tuttavia esiste, e aggiunge una dimensione interessante alle dinamiche del prossimo Parlamento europeo. Molto si giocherà all’interno dei gruppi stessi, visto che i partiti nazionali hanno differenti sensibilità e differenti situazioni politiche interne al loro paese che influenzeranno il loro comportamento.

In ogni caso, il progetto originale di Macron era molto più ambizioso: creare una nuova forza politica centrale in Europa, una sorta di campo progressista con una leadership chiara (la sua) e un’agenda innovativa per riformare l’Europa. E invece i suoi due grandi discorsi europeisti (alla Sorbona e ad Atene) sono stati accolti in modo piuttosto freddo dall’opinione pubblica europea, dai suoi partner in teoria naturali (come la tedesca Angela Merkel o l’olandese Mark Rutte), e dai due partiti principali al Parlamento europeo, il Partito popolare e il Partito socialista. Partiti che Macron voleva esplicitamente far esplodere, per ripetere lo stesso esperimento che gli era riuscito in Francia, ma che hanno tenuto, e se hanno perso consenso questo non è stato causato da una dinamica causata da Emmanuel Macron. Tra l’altro il Partito popolare europeo aveva anche fatto capire di essere pronto ad accogliere En Marche! al suo interno nel 2017, offerta respinta subito al mittente.

Esiste la possibilità che Michel Barnier, oggi capo negoziatore dell’Unione europea per la Brexit, possa essere designato come presidente della prossima Commissione. Un uomo di compromesso, popolare ma apprezzato dai socialisti, e soprattutto francese, che metterebbe d’accordo tutti. Sarebbe un ottimo risultato per Macron, ma appunto rientrerebbe all’interno dei risultati “normali”, quelli che nella politica europea i grandi stati hanno sempre ottenuto. Niente di innovativo.

Se guardiamo poi i dati e le motivazioni del voto francese, scopriamo che ciò che muove gli elettori è la volontà di punire il presidente. E’ comprensibile, perché è la prima elezione dall’inizio del mandato di Emmanuel Macron, ma mostra quanto il progetto del presidente, nato e supportato da una minoranza del paese, non sia riuscito a conquistare nuovi sostegni.

 

Per Marine Le Pen, invece, il risultato è ottimo. Conferma la sua forza nello scrutinio delle europee, che sono di tipo proporzionale e con una relativamente bassa affluenza: storicamente è l’elezione dove il Rassemblement national va meglio, e d’altronde era già arrivato primo nel 2014. Da quando il Rassemblement national è diventato una forza politica strutturale del sistema francese, il voto si distribuisce in parte per rigetto al progetto lepenista. Questa tendenza è ovviamente meno forte in un’elezione dove non ci sono posti di governo da assegnare, e dove tutti sanno che Marine Le Pen in Europa non farà parte dei partiti che, con ogni probabilità, sceglieranno la prossima Commissione europea. Insomma, se la strategia di dédiabolisation ha funzionato (e nemmeno fino in fondo) a livello nazionale, di sicuro ha fallito a livello europeo.

In questi mesi per l’Opinion mi sono occupato molto dei rapporti tra Marine Le Pen e Matteo Salvini. Rapporti che erano ottimi fino a prima delle elezioni del marzo 2018, e poi si sono lentamente raffreddati. Per mesi Marine Le Pen ha cercato di organizzare un comizio comune con Matteo Salvini, per dimostrare che i sovranisti europei hanno due leader, la francese e l’italiano. Ma l’italiano, che non pare molto avvezzo a dividere il potere, e nemmeno la leadership, s’è fatto molto desiderare. Si è concesso per una conferenza stampa congiunta a ottobre a Roma, nella sede dell’Ugl, sindacato un tempo molto vicino al Movimento sociale italiano, poi Alleanza nazionale, e oggi nell’orbita della Lega.

Matteo Salvini non ha mai parlato esplicitamente dello stato dei rapporti con Marine Le Pen, ma una delle persone più importanti per la tessitura delle alleanze europee, Marco Zanni, parlamentare europeo ex del Movimento 5 Stelle e oggi responsabile esteri della Lega, è stato piuttosto loquace in questi mesi. E, per esempio, mi ha detto chiaramente che il solo leader del sovranisti è Matteo Salvini, visto che è uno dei pochi “ad avere la capacità di unire le differenti sensibilità”, e soprattutto che il Rassemblement national in alcuni contesti rappresenta un peso. Salvini ha in effetti provato a convincere Jaroslav Kaczinski, leader del Pis, partito polacco al potere (e vincitore di queste elezioni, con il 42,4%), a unirsi al suo gruppo, senza riuscirvi. Parte del suo viaggio istituzionale in Polonia lo scorso gennaio era stato dedicato a questo, un’intesa mai raggiunta, dicono i leghisti, per colpa di Marine Le Pen: “Il Pis ha paura di essere attaccato nella politica nazionale se si avvicina al Rassemblement national, percepito ancora come un partito estremista in Polonia”. Insomma, non proprio parole da alleati inossidabili.

Le percentuali e il piazzamento dei due sovranisti cambiano relativamente le cose: il risultato di Matteo Salvini, storico e inimmaginabile fino a poco più di un anno fa, lo incorona come principale leader sovranista in Europa; ma quello di Marine Le Pen è oltre le aspettative, le ridà un ruolo che difficilmente potrà essere di secondo piano. Il punto adesso è capire come si muoveranno i sovranisti: cercheranno ancora una qualche forma di collaborazione con il Partito popolare europeo (come Salvini ha provato a fare in questi mesi), oppure saranno all’opposizione (come invece ha sempre desiderato Marine Le Pen)?

 

Se volete approfondire la storia dei rapporti tra Salvini e Le Pen, e capire se l’internazionale sovranista sia un fatto da prendere sul serio o una grande trovata pubblicitaria di questi straordinari imprenditori politici che sono i sovranisti europei, potete riascoltare la prima puntata del mio nuovo podcast, Cavour. Ne abbiamo parlato ormai un mese fa con Eva Giovannini, giornalista Rai, e Micòl Flammini, giornalista de Il Foglio e, come si dice in questi casi, l’episodio non“scade”.

   

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Noi ci sentiamo presto, e se siete a Venezia sabato prossimo mi trovate al pre-festival della Politica: alle 10 faccio la rassegna stampa e alle 12 parlo con Sofia Ventura e Lorenzo Pregliasco del futuro dell’Europa, pare.

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