Ci risiamo. L’Italia si riconsegna al giudizio dei mercati per la sua instabilità politica quasi congenita. Ma stavolta gli analisti finanziari guardano alla crisi del governo Conte con stupore e diffidenza, perché ormai la bussola politica risultailleggibile a chiunque, figuriamoci a chi si occupa di borsa. Rispetto ad un altro agosto, quello del 2011, il paese non ha alternative credibili, come quella che si concretizzò con il gabinetto di Mario Monti, per fortuna non è l’epicentro di una crisi dei debiti sovrani e soprattutto gode ancora dell’ombrello della Bce, che all’epoca invece con la lettera di Draghi e Trichet fissò condizioni durissime all’esecutivo Berlusconi. Ma visto chela storia si può ripetere ma sotto altre forme, occorre andare al di là delle liturgie istituzionali, del computo dei giorni per cui le camere si dovranno riunire di nuovo dopo Ferragosto per decidere la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde e dell’inevitabile spaesamento di chi presta appunto 400 miliardi all’anno al Tesoro decretando l’aumento dello spread. Oltre tutto questo c’è un dato di fondo che questa convulsione  di mezza estate fa emergere con nettezza: il nostro paese non merita il caos. E per questo è probabile che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, vari un esecutivo nuovo che conduca il paese alle elezioni piuttosto che lasciare in carica quello di Giuseppe Conte, che con Matteo Salvini all’Interno ha già scatenato molte polemiche. 

Sul campo restano alcuni imprescindibili interrogativi su chi farà la manovra da almeno 30 miliardi di euro, quando effettivamente verranno sciolte le camere, chi porterà il paese alle urne e la figura del commissario europeo che l’Italia deve indicare entro il 25 agosto. Sul primo punto sembrava che la scelta più sensata potesse essere lo stesso esecutivo guidato da Conte, una volta sfiduciato dalla Lega con un voto al Senato, ammesso che questo avvenga davvero, perché le pulsioni per un ribaltone e per maggioranze di nuovo conio non sono sopite, soprattutto tra chi in Parlamento pensa che non ci sarà una seconda volta (si tratta di un partito folto e trasversale). Un esecutivo tecnico balneare avrebbe invece bisogno di almeno quattro mesi per insediarsi e questo renderebbe tutto più complicato, legge di bilancio compresa, ma appare questa la soluzione che alla fine il Capo dello Stato prenderà. 

Dunque se così sarà, venendo al secondo e al terzo punto, la manovra verrà presentata entro metà ottobre dall’esecutivo in uscita o da quello nuovo “elettorale”, con i saldi a posto, e dunque l’aumento dell’Iva da 23 miliardi disinnescato, e la promessa a Bruxelles che le misure verranno poi effettuate dal nuovo esecutivo. Nulla di particolarmente grave, visto che in Spagna da qualche anno non hanno un governo con una maggioranza eppure nessuno eccepisce alcunché in Europa, per non dire della Brexit che ancora non c’è. Solo dopo il Presidente della Repubblica potrà sciogliere le camere, garantendo lo svolgimento di nuove elezioni presumibilmente all’inizio del 2020 o subito prima e agevolando la scelta del commissario da proporre a Bruxelles, che alla fine potrebbe essere anche una figura tecnica sul tratto di una professionalità quale di Enzo Moavero Milanesi o altro esperto di aspetti comunitari

Tutte queste previsioni sono evidentemente soggette all’evidente imprevedibilità italica del momento , comprese quelle su chi saranno i leader in campo a contendere a Matteo Salvini l’ascesa a Palazzo Chigi, e lasciano il posto ad un’unica certezza: il paese si salverà ancora una volta grazie agli italiani, quelli che votano, lavorano e non governano. 

 

Ma se si volesse per un momento lasciar stare la crisi di governo con tutto il suo armamentario liturgico, la manovra da varare, l’aumento dell’Iva da 23 miliardi da evitare ma che incombe, la legge sul taglio dei parlamentari che potrebbe di fatto bloccare le elezioni per sei mesi almeno, il ruolo, cruciale, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, bisogna chiedersi chi davvero paga l’eventuale implosione dell’ennesimo esecutivo, in questo caso quello del cambiamento. E  la risposta è semplice, tutti gli italiani. E qui di cambiato c’è ben poco. 

 

Dal 2013 qualcuno ha sempre perso alle urne e quel soggetto è proprio l’intero paese. Dalla non vittoria di Bersani ai governi di Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e infine Giuseppe Conte, nessuna maggioranza è riuscita davvero a concretizzare le riforme che servono a milioni di cittadini, nessun gabinetto ha affrontato con forza i quattro snodi che bloccano tutto. Un debito pubblico troppo alto che costa ogni anno almeno tre manovre; un fisco esoso con gli onesti e distratto con chi evade 120 miliardi di euro ogni 12 mesi; una burocrazia che assilla chi rispetta le regole ma ignora chi si disinteressa delle norme; e infine un sistema dell’istruzione che non riesce a frenare una tragica emorragia di cervelli che sta trasformando l’Italia in una splendida ma pur sempre casa di cura piena di pensionati e di precari trentenni. Nessun governo, passato, presente, si spera non futuro, ha preso di petto questi problemi e non sembra proprio che la maggioranza Lega-Cinquestelle sia più in grado di farlo. Il risultato, oggi come in passato, è stato e sarà sempre un inevitabile fallimento, in assenza di un minimo di quadro strategico e di una chiara, netta, comunione d’intenti. 

 

Imprenditori e investitori hanno tirato il freno e da troppo tempo hanno osservato tra l’attonito e l’indifferente la continua bagarre tra i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, arrivato all’acmè in fondo per un buco in una montagna per un treno della Tav, quando l’uomo vola ormai sulla Manica. Una cosa grottesca. A dispetto di quanto si pensi, l’Italia è invece pur sempre una corazzata, che non può permettersi di fermarsi né di andare sugli scogli, la settima economia del mondo, genera un surplus di esportazioni da 500 miliardi di euro, la sua cassaforte privata è tra le più ricche al mondo, con quasi 10.000 miliardi di euro di tesoro complessivo e depositi bancari crescenti a quota 400 miliardi, a dimostrazione che i risparmiatori preferiscono restare rintanati piuttosto che investire nel loro stesso paese. Questi numeri di tutto riguardo, non sono mai stati presi davvero in considerazione dall’esecutivo Conte come dai suoi predecessori, come se a Palazzo Chigi non si sapesse che quello del risparmio in Italia è il primo partito e decide le sorti di qualsiasi gabinetto, come accaduto nel 1992 e in fondo anche otto anni fa. Il paese più bello del mondo e con capacità ancora inespresse è anche il più fermo del pianeta. Bloccata da mille polemiche, impaurita, divisa, slabbrata da un pulviscolo di iniziative autonome e autoritarie come ha ricordato Michele Ainis, l’Italia è diventata una grande isola che rischia di finire alla deriva, mentre osserva la grande perdita del sapere che la fuga di 130.000 giovani laureati genera nei conti pubblici e nella società e non ha un progetto per ripartire. Servirebbero delle risposte, con l’Europa, con i deboli, con i disoccupati, con le decine di migliaia di famiglie che hanno enormi problemi a gestire figli affetti da gravissime patologie, con le piccole imprese, come servirebbe una tregua a tutti quanti, lasciare per una volta social, dirette Facebook, spiagge e smartphone. Ma forse è troppo tardi o addirittura impossibile. 

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