di Francesco Luna

Nicola Zingaretti è chiuso ormai da settimane nel palazzo della Regione Lazio, Gentiloni ha preso possesso del suo sontuoso ufficio a Bruxelles e si guarda bene dall’immischiarsi nelle vicende italiane, Bersani e Speranza restano nel loro angolino, mentre Calenda e Renzi puntano a drenare più consenso possibile dal loro ex partito. In questa atmosfera da libera uscita, il Partito Democratico resta da solo, con il cerino in mano, a difendere Giuseppe Conte, un presidente del Consiglio che la dirigenza del Pd nemmeno voleva, che il Movimento 5 Stelle ormai detesta e che ogni giorno diventa sempre più battitore libero nel vuoto politico di questa maggioranza.
Il governo mai nato arriva al dunque dell’approvazione della manovra di bilancio e del nuovo Fondo Salva Stati con il solo sostegno di un Pd afono e impotente e con la pressante domanda sul “che fare” subito dopo. I partner di governo sono in imbarazzante disaccordo su tutto, dal MES alla prescrizione, dallo scudo penale al futuro di Alitalia, ma costretti a restare insieme per raggiungere l’unico vero punto di programma comune: evitare le elezioni. Un governo che si regge sulle divergenze parallele fra alleati litigiosi, senza un amalgama, senza una visione, senza un obiettivo che non sia il “no a Salvini”.
In tutto questo, non stupisce che l’arrivo sulla scena del fenomeno mediatico delle “sardine” sia accolto con smisurato sollievo a sinistra. Perché nel vuoto assoluto dà agli elettori spaesati l’illusione ottica di una sinistra che ancora riempie le piazze. Ma si tratta appunto di un’illusione ottica, perché le sardine non hanno idea di cosa vogliono, non sanno minimamente cosa proporre, se non la conservazione dell’esistente. Invocano un confronto politico più gentile e rispettoso, e va bene, ma non è un programma di governo. Né ci somiglia. Somiglia più a una mobilitazione dei figli di chi governa perché i genitori non perdano il potere. Sono i figli che corrono in aiuto dei padri, prima che questi vengano spazzati via, come è successo in Umbria e rischia di succedere in Emilia-Romagna e in Calabria. Riempiono le piazze del centro all’ora dello shopping, e non è che ci voglia molto, ma creano insofferenza e irritazione in periferia. Portano in piazza chi già vota a sinistra, chi ha già paura di Salvini, ma non propongono risposte ai problemi reali delle persone, quindi difficilmente sposteranno voti.
Non che chi quelle risposte dovrebbe darle brilli per la sua vitalità. Nel Pd, l’assenza non giustificata di Zingaretti ha prodotto un vuoto politico drammatico al vertice del partito, vuoto che sembra prontamente riempito proprio da Giuseppe Conte. Privo del sostegno dei 5 Stelle, come si è visto nell’informativa sul Meccanismo Europeo di Stabilità, il presidente del Consiglio porta avanti il suo programma, la sua linea, coperto dal solo Pd. E in questo modo ne assume di fatto la leadership. E’ lui che dà la linea, è lui che riceve dal Pd incondizionato sostegno. Ma a Conte il Pd non basta, ha bisogno del sostegno dei 5 Stelle, infatti sul Mes ha dovuto cedere, così come sulla prescrizione e sui decreti sicurezza di Salvini, sul reddito di cittadinanza e su Quota 100. Tutti provvedimenti che il suo predecessore (egli stesso) aveva approvato senza battere ciglio e che sono ancora saldamente in vigore.
Così, con un leader che non fa nemmeno parte del partito, incapace di spiegare perché sia al potere dopo aver malamente perso le elezioni, il Pd continua a donare sangue a un governo senz’anima, salvo minacciare ogni giorno il voto se non si fa come dice lui. Ma non si fa come dice lui, si fa come dice Di Maio o al massimo come dicono Renzi e Grillo. Tutte le mattine sui quotidiani un esponente a caso del Pd annuncia che la corda si sta spezzando, ma intanto la corda tiene. Zingaretti, che alle elezioni voleva giustamente andare in agosto, è paralizzato dalle sue non decisioni. Bettini, Delrio, Orlando e altri provano a fare la voce grossa, ma hanno perso credibilità. I 5 Stelle non esistono più, ma sono tanti e sono in grado di condizionare ogni decisione. E lo fanno.
La manovra avanza in Parlamento e dovrà essere approvata, quindi tutto reggerà fino alla fine di dicembre. Poi, il 26 gennaio, si voterà in Emilia-Romagna e Calabria e Dio sa cosa signficherebbe arrivarci con il fallimento del Conte-bis. Ma prima o poi alle elezioni bisognerà andarci, e ci si andrà probabilmente con il taglio dei Parlamentari, che il Pd ha accettato stoltamente di votare dietro la promessa non ancora mantenuta di interventi legislativi e costituzionali per evitare pericolosi squilibri.
I sondaggi restano pessimi per l’attuale maggioranza, con il Pd che resta sui minimi storici e i 5 Stelle in rapida consunzione, Renzi asfittico e Leu sempre lì. Stando così le cose, alle elezioni il centrosinistra perderà di brutto e Salvini arriva, questo lo capiscono tutti, ma non hanno idea di cosa fare per evitarlo. Si va a tutta velocità contro il muro e nessuno se la sente più di tirare il freno, perché la strada è troppo scivolosa e il rischio è di cappottarsi e farsi ancora più male. Seduti al bordo della strada, Matteo Salvini e Giorgia Meloni aspettano senza fretta lo schianto. (riproduzione riservata)