In una recente intervista a La Stampa il vicepresidente della Camera e candidato premier del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha parlato di Europa. Ne ha parlato dopo un lungo silenzio del suo Movimento sull’argomento, un silenzio sul tema che da sempre contraddistingue la linea politica dei seguaci di Beppe Grillo, anche a fronte dei numerosi controsensi e delle prese di posizione controverse al Parlamento Europeo (si veda la questione Alde e liberali). Avvicinandosi la campagna elettorale tuttavia il tema europeo diventa ineludibile, e così il candidato premier ha iniziato a delineare una posizione un po’ più chiara sul futuro delle istituzioni europee nel caso in cui i cinque stelle dovessero arrivare al governo. I punti fermi del Movimento sono tre: la salvaguardia dell’interesse nazionale e un rafforzamento dell’Italia nel Consiglio europeo, che riunisce i capi di stato e di governo dell’UE, un contemporaneo rafforzamento del Parlamento Europeo a scapito del Consiglio (lo stesso in cui Di Maio si propone di rilanciare la posizione italiana), e infine la possibilità “come extrema ratio” di un referendum sull’euro. Quest’ultima idea sarà lasciata come “una pistola sul tavolo dei negoziati” dal suo futuro governo  (non si sa se per sparare contro qualcuno o per suicidarsi) e come leva negoziale con Bruxelles per ottenere degli sconti sul deficit annuale. Rafforzamento della posizione italiana, più democrazia in Europa e revisione dei Trattati quindi; all’incirca le stesse proposte che, invertite per importanza, ormai accomunano tutti i partiti candidati alle prossime elezioni italiane. Dal partito democratico che pone l’accento sul deficit alla destra che invece individua nell’euro il problema dei mali italiani, fino ad arrivare alla conclusione collettiva dell’ “Europa si, ma non così” la quale rischia di appiattire definitivamente ogni idea sulla politica europea che si possa spendere nei prossimi mesi.

Troppo spaventati per sventolare la bandiera dell’europeismo ma troppo scottati dalla disfatta della Le Pen (e relativi sondaggi italiani) per sostenere una vera linea antieuropeista, i principali partiti si pongono verso un nuovo centro democristiano, per così dire, mediano tra tutti gli elettori e affidano il discorso europeo alla semplice retorica. Questo è un peccato, visto che ci sono partiti, come il Partito Democratico e Fratelli d’Italia, che hanno sviluppato negli anni una riflessione politica approfondita sul tema europeo, le sue premesse e i suoi possibili risvolti. Ma si sa, in campagna elettorale si devono corteggiare gli elettori e non ci si può permettere una vera riflessione sui temi. Eppure oggi più che mai servirebbe, in Italia, un partito realmente antieuropeo. Servirebbe nel panorama politico italiano qualcuno che onestamente dica  che l’Europa non solo è inutile o dannosa, come dice spesso per esempio Matteo Salvini, ma che l’Europa è in tutto e per tutto un’invenzione astratta di qualche ideologo di Bruxelles, qualcosa di distante dalla realtà, un’astrazione intellettuale insensata. Servirebbe qualcuno, in queste elezioni, che possa spiegarci quale dovrebbe essere il centro della politica (la nazione, il benessere dei cittadini, la pace mondiale?) e combatta l’idea d’Europa non nelle sue conclusioni, le istituzioni, ma nelle sue stesse premesse. L’esistenza di un partito del genere sarebbe di grande aiuto per il dibattito politico italiano. Innanzitutto finalmente si sposterebbe l’attenzione dal tema dell’Europa utile, quella che garantisce la pace o la ricchezza o la democrazia o vattelapesca, al tema dell’Europa giusta. Il dibattito italiano tende a vedere l’Europa come una grande panacea di tutti i mali, uno strumento per raggiungere qualche scopo più alto e nobile. Chiaramente un’istituzione non è una scopa o un martello, non ha uno scopo preciso per il quale è creata, ma rappresenta una comunità. Di certo non siamo italiani perché è utile essere italiani, ma lo siamo perché è il senso di appartenenza da noi condiviso. Se parliamo d’Europa ne parliamo quindi perché in parte, anche in minima parte, sentiamo che è giusto darci un’istituzione comune in quanto europei. Finora, paradossalmente, l’Europa di cui ci parlano Renzi, Di Maio e la maggior parte dei politici italiani (ma non solo italiani, beninteso) è esattamente l’Europa che oggi abbiamo e con cui facciamo i conti tutti i giorni.

La verità è che l’attuale Unione Europea si presenta, a se stessa e ai cittadini, come un enorme hub di risoluzione di problemi. L’UE è un’istituzione che tenta di dimostrare, ogni giorno, di essere utile a qualcuno e su questa utilità gioca la sua stessa esistenza. Un’Unione Europea utile (la famosa Europa-scopa) chiaramente tenta di disciplinare ogni materia che gli viene richiesta (fino all’ipertrofia normativa) ma non prende le decisioni politiche importanti, proprio perché sono quelle che riguardano la comunità e non una presunta utilità razionale.  Se continuiamo a considerare l’Europa uno strumento (anche qui, uno strumento per gli individui, gli Stati, il benessere, le imprese, per la democrazia? Non si può avere tutto) forse dovremmo iniziare a dire che ci possono essere tante istituzioni, a livello regionale, mondiale o transnazionale molto più utili dell’Europa per raggiungere i nostri obiettivi. Un partito antieuropeo ci spingerebbe a spiegare non cosa ci vogliamo fare con l’Europa, come una scopa che possa mettere sotto al tappeto i problemi italiani, ma ad interrogarci se il progetto europeo abbia senso o fondamento, oppure se, al contrario, sia stata un’ubriacatura intellettuale del Novecento. La risposta a questa domanda può essere la prossima linea di demarcazione nella politica italiana e potrà aiutare politici, come Luigi Di Maio, a non doversi per forza appiattire verso un minimo denominatore comune con Matteo Renzi o Silvio Berlusconi.