di Francesco Luna

Fosse stato per lui, questo governo non sarebbe mai nato. Fosse stato Renzi, non avrebbe mai accettato che qualcun altro gli imponesse di cambiare completamente linea e strategia. Ma Nicola Zingaretti non è Renzi e, intendiamoci, entro certi limiti questo è un pregio. Ma è incredibile come il pacioso segretario del Partito Democratico si sia trovato quasi costretto ad invertire completamente la rotta, annichilito dalla rapidità dell’avversario interno, e a dar vita ad un governo che rischia di costargli presto l’osso del collo.

Ma ormai il dado è tratto, non si torna indietro. Il Pd entra nuovamente nelle stanze del potere a poco più di un anno dalla bruciante sconfitta del 4 marzo 2018. Ci torna grazie ad un avventato e maldestro colpo di mano fallito di Matteo Salvini, del quale approfitta con grande disinvoltura. Ci torna grazie al 18% preso dal Pd di Renzi nel 2018 e senza aver fatto i conti con le cause che hanno portato a quel magro risultato. Ci torna impreparato, non pronto a guidare il governo del Paese se non riproponendo le ricette renziane, mai rinnegate.

Ci torna con i voti raccolti in una campagna elettorale che aveva rivendicato il Jobs Act, la Buona Scuola, i bonus ai ricchi, l’Italicum, la Riforma Boschi, le divisioni, l’arroganza, le scissioni e i tanti tradimenti che avevano allontanato milioni di elettori, spingendoli in molti casi a scegliere i loro acerrimi nemici dei 5 Stelle, che adesso per una curva imprevista della storia si ritrovano ad essere i loro alleati.

E ci torna a braccetto proprio con i grillini, cioé con quelli che nella loro becera propaganda rappresentavano il PD come una piovra, che proprio sulle accuse più infamanti contro il PD avevano costruito il loro dilagante successo nel 2018, livello che adesso hanno dimezzato dopo un anno di governo incerto con la Lega. Ci torna senza aver ritrovato la propria identità, ridotto ad un contenitore di voci discordanti (pensiamo alle posizioni di Orfini e di Minniti sull’immigrazione), voci che hanno ricominciato improvvisamente a cantare all’unisono solo quando si è trattato di riprendere il potere.

Ci torna persino con i voti di un’esperienza politicamente fallita come quella di Liberi e Uguali, che si erano posti in antitesi al renzismo e che adesso grazie ai voti presi dal renzismo entrano anche loro nei salotti che contano.

Ora che il nuovo governo sta nascendo, che farà Zingaretti? Di fronte a questo abisso, generato da Salvini, lui aveva scelto di non saltare. Aveva in mente la via più faticosa, che era quella di arrivare sull’altra sponda mettendosi in cammino e costruendoun’alleanza per nuove elezioni, con una identità e una personalità ritrovate, in grado di affrontare finalmente i nodi che dividono la sinistra e di trovare una sintesi da proporre agli elettori. Aveva capito, Zingaretti, che le elezioni erano la strada giusta, che il momento era propizio, che Salvini si era improvvisamente indebolito, mostrando la sua vuota e cieca bulimia da potere, e che il fenomeno 5 Stelle stava uscendo con le ossa rotte dalla scellerata alleanza con la Lega e che milioni di elettori potevano tornare. Bastava convincerli, ritrovando l’unità perduta.

Ma la voglia di tornare nei ministeri è stata troppo forte e Zingaretti non è riuscito ad arrestarla. Per non perdere la guida del partito, ha scelto di non guidarlo o, peggio, di farlo guidare a qualcun altro. L’incredibile spregiudicatezza di Matteo Renzi lo ha spinto sempre di più verso il ciglio del burrone e il segretario non ha potuto fare altro che lanciarsi. Ha fatto lui quello che, altrimenti, avrebbero fatto altri.

Adesso bisogna guardare avanti. Zingaretti dovrà dare a questa alleanza una visione nuova dell’Italia. Dovrà dimostrare di non essere la ruota di scorta dei 5 Stelle, dovrà mostrare con i fatti quella “discontinuità” che aveva preteso e che non sembra essere riuscito ad ottenere nella formazione del nuovo governo. Dovrà dimostrare che ne sia valsa la pena, anche se lui non lo voleva fare. Dovrà riempire di contenuti un guscio vuoto che al momento serve solo a salvare due partiti in difficoltà dal naufragio e ad impedire a Salvini di “capitalizzare” un consenso che al momento ha, ed è forte.

E’ un salto mortale, quello che attende Zingaretti, mentre i suoi compagni di partito entrano festanti nei ministeri. Un’impresa quasi impossibile, mentre si avvicinano la scadenze della manovra finanziaria, delle clausole IVA, delle vertenza aperte, della crisi economica che dalla Germania si irradia nel resto d’Europa e da noi in particolare, mentre altre navi cariche di migranti si avvicinano alle coste italiane. Il tutto, mettendosi d’accordo con un compagno di strada sospettoso e nervoso, che lotta per la propria sopravvivenza politica, mentre una destra fortissima e popolarissima, dall’opposizione, avrà gioco facile a sparare rabbiose cannonate. Un salto mortale che il segretario, con il fisico che ha, non sembra davvero in grado di effettuare. C’è solo da sperare che ci stupisca.