Dopo le elezioni del 4 marzo è il momento di tirare le fila e di comprendere il perché di questo voto storico per la nostra Repubblica. A pochi giorni dalle elezioni alcuni istituti statistici, principalmente Ixè e Ipsos si sono cimentati nello sforzo di scomporre il voto delle politiche, dividendo gli elettori per Regione, reddito e fasce d’età. Oltre al dato significativo geografico ormai molto noto, il centro-nord ha votato principalmente Lega mentre il centro-sud principalmente Movimento 5 Stelle, c’è un dato anagrafico molto interessante da analizzare. Secondo entrambi gli istituti, il voto per il Movimento fondato da Beppe Grillo si concentra nettamente nella fascia d’età al di sotto dei cinquant’anni e perde elettori con il crescere dell’età anagrafica. Nessun partito italiano, né di destra né di sinistra, ha sperimentato uno scarto così significativo tra giovani e meno giovani. Secondo Ixè il 35% dei ragazzi e le ragazze tra i 18 e i 24 anni, alle loro prime esperienze di voto, hanno votato Cinque Stelle, così come chi sta nella fascia d’età tra i 35 e i 49. Per Ipsos, che scompone il voto per età in modo ancora più accurato, non solo il 40% dei giovani tra i 18 e i 35 anni hanno votato per Di Maio premier, ma addirittura il 50% degli elettori tra i 35 e i 44 anni hanno compiuto questa scelta. Il dato crolla al 35% tra i 44 ai 54 anni e arriva ad un misero 15% tra gli elettori con più di 65 anni. Questo vuol dire che poco più di un anziano su dieci ha votato il Movimento, a fronte della metà degli elettori in piena età lavorativa. Questi numeri devono far riflettere. Sicuramente il voto di un diciottenne per il Movimento non ha le stesse motivazioni di un giovane padre o di una giovane madre, anche se quello del giovanissimo può essere influenzato dalle opinioni dei genitori. Quando mio fratello mi ha detto che nella sua scuola la stragrande maggioranza degli studenti che avevano l’età minima per votare avrebbe dato la preferenza ai 5 Stelle, non sono rimasto molto sorpreso. Quando gli ho chiesto il perché mi è stato risposto che “I miei amici vogliono votare qualche politico giovane e onesto che aiuti i ragazzi ad entrare nel mondo del lavoro, ma molti hanno paura che la Lega sia troppo estrema”. Forse chiedersi perché un giovane voti Cinque Stelle nell’Italia del 2018 è come chiedersi perché nel ’94 gli imprenditori votarono in massa Forza Italia o gli operai Partito Comunista nel 1976. Quello che è preoccupante è che qui non si tratta di un voto “professionale”, fatto a vantaggio di una categoria a discapito di un’altra, ma di un vero dato di rottura generazionale. Che sia una percezione reale o meno i giovani al di sotto dei 45 anni, teoricamente la fascia d’età più produttiva del Paese, si sentono una categoria socio-economica  abbastanza coesa da cercare una propria rappresentanza, in misura abbastanza trasversale tra estrazione sociale o grado di istruzione. L’unica eccezione sembra riguardare una frazione minima di giovani (si veda la simpatica analisi del voto in Bocconi dove il 5 Stelle ha preso il 3%) che ritrova la sua frattura in categorie politicamente “nuove” ma più trasversali (sempre alla Bocconi Più Europa ha totalizzato il 25%, in misura inversamente proporzionale al voto nazionale).  Insomma i giovani in questa elezione non si sono astenuti, hanno votato in massa per la verità, e hanno votato principalmente pentastellato. Cosa porta tanti giovani a vedere in Luigi Di Maio una naturale rappresentanza? E’ sempre più divertente leggere le analisi del voto, fatte anche da importanti quotidiani, come una chiara preferenza deli elettori per l’euroscetticismo. Il fatto che Di Maio abbia toccato il culmine della sua popolarità dopo una campagna elettorale che ha moderato molto i suoi toni sull’Europa e che ora sta tendendo la mano ai partiti più europeisti dell’arco politico non sembra scalfire la convinzione che questo è stato un voto euroscettico. E se invece proprio il cambiamento di tono del 5 Stelle, il suo “professionalizzarsi” e “moderarsi” fosse la chiave del suo successo? Questo vorrebbe dire che i giovani elettori non stanno esprimendo un voto estremista o con delle chiare istanze politiche come noi siamo abituati a pensare, ma che si ritrovano in un partito che ha saputo non tanto dare delle giuste risposte, ma che per una volta si è saputo fare delle giuste domande. Non starò a ripetere quello che già sappiamo: il 40% di giovani sotto i 35 anni (dato in diminuzione) non studiano e non lavorano, i giovani nella fascia d’età tra i 35 e i 45 sono abituati a saltare da un contratto all’altro, lontani dalle proprie competenza e sempre pagati la metà dei loro colleghi dieci anni più anziani che hanno vissuto l’intera vita all’interno della stessa azienda. Mi risparmierò anche la nota di colore delle risposte sprezzanti che tutti i giovani ricevono da chi ha qualche anno in più quando si tocca l’argomento lavoro (da un superficiale “vai all’estero e poi tornerai” al più paternalista “vedrai che anche tu riuscirai a trovare una tua stabilità come sono riuscito io”). Basti per tutto questo dire che chi ha più di 55 anni concentra nelle sue mani più del 65% della ricchezza nazionale, nonostante il fatto che si parli di una platea di soli 15 milioni di italiani, a fronte di altri 40 milioni che stanno al di sotto di quell’età e si devono accontentare del restante 30% (dati ISTAT). Non è una storia che vorremmo sentire, perché è fatta di giovani famiglie che si sentono distanti anni luce dai nonni e che lanciano una pesante accusa alle generazioni che li hanno preceduti. In questa situazione un Movimento nuovo, composto principalmente da volti giovani, variegato politicamente, con una massiccia presenza di sostenitori in Rete (forse l’unico partito al momento ad avere una sua strategia per i social network) comprende perfettamente le esigenze di questo elettorato: redistribuzione della ricchezza verso i disoccupati, politiche per il lavoro e sussidi, meritocrazia. Può sembrare assurdo che l’unico Movimento ad aver presentato un suo ministro per la meritocrazia, nella persona dell’Avv.Giuseppe Conte, sia quello che porterà il maggior numero di disoccupati o mai occupati in Parlamento. Le forze politiche hanno demonizzato costantemente la scarsa qualità dei politici Cinque Stelle, persone che hanno studiato e mai lavorato, o si sono mantenute con lavoretti precari (si pensi ad un Di Maio webmaster e steward) non comprendendo che questa mancanza di esperienza aiutava proprio quell’elettorato giovane e precario ad immedesimarsi in quella classe dirigente. Attaccare i Cinque Stelle per la bassa età e la mancanza di competenza degli eletti è come accusare un veterano di guerra di essere stato in battaglia di fronte ad una platea elettorale di militari. Quello che per un sessantenne può essere un ottimo motivo per non votare pentastellato, in un elettore giovane è percepito esattamente in maniera opposta. Queste elezioni ci hanno consegnato uno spaccato di quello che avverrà in futuro. Se questo elettorato si cristallizzerà e inizierà a vedere nel Movimento una propria rappresentanza stabile, potremmo a breve ritrovarci con un voto ideologico generazionale, simile a quello per il Partito Comunista o la DC durante la guerra fredda. Con un’importante differenza: questo voto ideologico è aiutato dal ciclo naturale. Se la situazione in Italia non cambierà, il voto per il Movimento aumenterà con il passare degli anni, sempre che resista alla prova di governo.