Quella che Simenon attraversa e mette sotto la sua lente d’osservazione è l’Europa «scos­sa da bruschi e terrificanti sussulti» dei pri­mi mesi del 1933. È un’Europa malata, tanto che il medico, mentre la ausculta e le fa dire «33», si dimostra preoccupato. Non è medico, Simenon, e quindi non potrà prescrivere ricette, ma almeno descrivere la malattia come farebbe un reporter di viaggio. In questa Europa da lui descritta c’è molto che serve a comprendere l’Europa di oggi segnata, fortunatamente ancora solo a tratti, da populismi, nazionalismi e patriottismi esacerbati. Il nome di Simenon è legato ai romanzi, ma è stato anche un grande viaggiatore, soprattutto a partire dalla fine degli anni Venti, dapprima in Francia, poi in Turchia, Europa dell’Est, Africa, Unione Sovietica. Da queste prenderanno vita numerosi reportages, alcuni dei quali confluiscono in Europa 33 (Adelphi, 377 pp).

Con la lente del reporter attraversa il continente dal Bel­gio a Istanbul poi a Batum, riservando il suo sguardo soprattutto ai «popoli che hanno fame», quelli dell’ex impero zarista. Ben oltre le «cartoline illustrate», Simenon mette a terra una testimonianza precisa servendosi di immagini, aneddoti, note, trascrizioni di dialoghi, interviste e davvero preziose fotografie. Alla ricerca sempre della stessa cosa, dello stesso protagonista, nel paesaggio imbiancato di Vilnius come nelle campagne polacche, a Berlino come a Varsavia o ad Odessa e finanche nello studio di Trockij sull’isola di Prinkipo: l’«uomo nudo», da raccontare con la sua indiscussa pìetas e senza mai giudicarlo. Mentre viaggia si sentirà in pericolo, come mentre attraversa la Polonia dalle “frontiere calde”, ma non si nega nulla, aprendo ogni porta sia essa quella di un bordello o quella della mente degli scrittori che incontra e che intervista e alle volte vacilla di fronte a quello che vede, ma è sempre meglio, ne è convinto, lo dimostra, scrivere così e non farlo senza vedere. Qui lui è nelle cose, a volte persino nelle fotografie che vengono scattate, e racconta dell’Europa malata che certo lui non può guarire…“Ora tutti vogliono fabbricare i loro cannoni e le loro macchine da cucire. Pretendono di educarsi da soli e parlano di rinascita nazionale. Il mondo ne è pieno, di rinascite nazionali che cozzano tra loro con un frastuono più o meno minaccioso”. Ci suona familiare.