di Francesco Luna

Dunque la grande paura è passata, Salvini e le sue truppe citofoniche non hanno varcato il Rubicone e il quartier generale della sinistra italiana non è stato espugnato. Grande sospiro di sollevo, ma c’è poco da maramaldeggiare. L’Emilia-Romagna non è l’Italia, la sua è una tradizione di sinistra efficiente e di buon governo. Conquistarla non è affatto facile e bisogna dare atto a Salvini di non essersi risparmiato, di aver dato tutto se stesso, in una campagna elettorale oggettivamente difficilissima.

Dopo aver evitato il collasso, è giusto che il Pd e la sinistra festeggino, ma sarebbe molto ingenuo pensare che aver resistito alla spallata nel bunker dell’Emilia Romagna riparerà la rottura sentimentale drammatica che gli anni del renzismo hanno prodotto fra il Pd e la sua gente. Proviamo a proporre qualche riflessione, perché tutto questo non sia inutile.

 

1.Salvini si può battere.

Questa è la lezione meno ovvia e più importante. Non bisogna avere paura di Salvini, perché se lo si affronta a viso aperto, con un candidato credibile che spieghi quali sono le sue soluzioni ai problemi, lo si mette in difficoltà e lo si batte. Intendiamoci, non è facile, l’uomo è abile, ma fa molti errori, non ha il senso del limite, la buffonata al citofono del Pilastro l’ha pagata giustamente molto cara. Ma sa leggere benissimo le paure degli elettori, soprattutto quelli delle periferie e dei piccoli centri, con i quali la sinistra ha perso il contatto da troppo tempo. Bisogna smettere di negare quelle paure, a cominciare dagli effetti dell’immigrazione massiccia, e proporre invece soluzioni credibili ed efficaci.

  1. La Borgonzoni non era all’altezza

Lucia Borgonzoni è stato il più grave fra gli errori di Salvini. Con tutto il rispetto, come candidato alla presidenza dell’Emilia-Romagna era poche spanne sopra il cavallo di Caligola. Gentile ed educata, ma del tutto inadeguata, incline a gaffe terribili, ignorante sulle basi, la candidata ha probabilmente spaventato molti fra i potenziali elettori di Salvini, inducecndoli a scegliere l’usato sicuro Bonaccini. Ha detto che l’Emilia confinava con il Trentino, che Castelfranco è nella Bassa Modenese e ha diffuso altre perle imbarazzanti. Non ha aggiunto nulla alla spinta di abbrivio della Lega, anzi, ha pesato come una zavorra. Se il candidato della Lega avesse avuto un minimo di forza propria, non staremmo qui a parlare di vittoria di Bonaccini. La lezione è anche per Salvini: non si può candidare chiunque. Gente come Zaia o Fedriga, per dire,  va benissimo. La Borgonzoni no.

  1. Il Pd vince in centro, perde nelle periferie

La vittoria in Emilia-Romagna non ha cambiato questo dato, drammatico per una forza di sinistra. Il Pd vince nei quartieri bene delle grandi città e perde altrove. Questa è la diretta conseguenza dei governi degli ultimi anni, che hanno colpevolmente messo il peso della crisi e dell’immigrazione sulle spalle dei più poveri e dei più deboli, salvaguardando a loro discapito il benessere dei privilegiati. Non solo: la sinistra in questi anni ha colpevolizzato le periferie, ha dato ai loro abitanti dei razzisti, quando protestavano per il peso che l’immigrazione improvvisa del 2015-2016 aveva posto sulle loro spalle. Bisogna finalmente fare uno sforzo per capire quella gente, invece. Bisogna dare loro rappresentanza, facendo emergere esponenti e dirigenti che vengano da quelle aree, basta con i dirigenti che banchettano sulle terrazze romane.

  1. La carta del pericolo fascista funziona ancora

Diciamo la verità, una parte dei dieci punti di vantaggio di Bonaccini è dovuta all’”allarme son fascisti”, fatto risuonare nelle valli emiliano-romagnole. E’ un espediente al quale la sinistra fa ricorso ogni volta che c’è un elezione, ma non può funzionare ovunque e non può durare in eterno. E’ vero che in politica vale tutto, ma non si può continuare con la logica del “votate per noi altrimenti arrivano i barbari”. Bisogna proporre soluzioni, non suscitare paure.

  1. I bonus funzionano, ma sono un’arma a doppio taglio

Terrorizzata dal perdere l’Emilia-Romagna, la sinistra ha fatto quello che fece Renzi nel 2014, quando varò gli 80 euro a ridosso delle Europee e fece il pieno di voti. Ma attenzione, “mettere soldi nelle tasche degli italiani” facendo deficit è una scorciatoia redditizia nel breve termine, ma pericolosa. E soprattutto, è una ricetta di destra. La sinistra dovrebbe spiegare dove intende investire i proventi del prelievo fiscale, quali servizi intende migliorare, non dare soldi cash e lasciar esondare fiumi e far crollare scuole, ponti e gallerie. E poi, non serve dire “abbiamo messo tot milioni nella sanità”, bisogna dimostrare che quei tot milioni, che peseranno sui debiti che lasceremo ai nostri figli, faranno diminuire i tempi di attesa per una TAC.

  1. L’elettorato si mobilita quando vede facce nuove

Le “sardine” sono state fra le protagoniste della campagna elettorale. Sono state soprattutto un fenomeno mediatico, visivo, ma anche desolatamente vuoto. Non hanno portato nulla nel dibattito, se non generici richiami al bon ton, ma hanno permesso di diffondere sui social foto di piazze piene contro Salvini. Il loro innegabile successo dimostra che l’elettorato di sinistra si mobilita se sente aria di novità, anche se questa novità ha ben poco di concreto. Se la sinistra facesse nascere delle sardine con delle competenze e delle proposte credibili, farebbe cappotto.

  1. Senza Renzi il PD va meglio

L’addio di Matteo Renzi è stato un balsamo per la sinistra. Il personaggio si è messo in buca da solo, fondato un partitino asfittico, che ha una forza elettorale pari alla credibilità residua del suo leader, quindi quasi zero. L’assenza di fatto di Renzi dalla contesa emiliana è stata una fortuna, ha riportato al voto milioni di elettori di sinistra che nel 2014 si rifiutarono di andare a votare. Purtroppo, però, il Pd rifiuta ancora di fare i conti con il renzismo. Finché questo non avverrà, finché non si riconosceranno i danni prodotti da Renzi alla sinistra, le speranze di una effettiva ripresa resteranno poche.

  1. I 5 Stelle sono finiti.

Come ampiamente previsto, la cometa del Movimento 5 Stelle ha fatto la sua spettacolare apparizione ed è esplosa, diventando un buco nero. Succede, quando si raccoglie la protesta con slogan aggressivi, ma non ci si cura di affidare la gestione del consenso a gente con un minimo di competenza. I 5 Stelle avevano senso quando si proponevano come alternativa assoluta e intransigente all’establishment, quando sono diventate anch’esse establishment, sono evaporate come neve al sole. Questo ha lasciato liberi molti elettori, ancora delusi e arabbiati. In parte sono finiti a Salvini, in parte sono tornati al Pd, molti sono svaniti nell’astensione. Andarli a prendere “nel bosco”, come direbbe Bersani, dovrà essere una delle priorità della sinistra da qui alla prossima sfida.