di Francesco Luna

 

Una mattina di fine estate, un elettore del Pd si svegliò e si accorse di essersi trasformato in un alleato dei 5 Stelle. A poca distanza, un elettore grillino aprì gli occhi e si ritrovò schierato con il Pd. E’ cominciata così, con una metamorfosi kafkiana, la storia del matrimonio di interesse fra due gruppi politici che tanto si erano odiati e che oggi si sopportano nelle stanze del potere. L’aventura del Conte 2 doppia la boa del primo mese, passato per lo più in cerca dei soldi necessari per evitare l’amento dell’IVA, ma soprattutto, come nelle “Impressioni di settembre” della PFM, “in cerca di se stesso”. E se la prima ricerca alla fine darà probabilmente esito positivo, sulla seconda restano inquietanti dubbi.

Cosa è diventata, dopo un mese, questa spericolata alleanza? Il PD guidato dal quasi impercettibile Nicola Zingaretti, si ritrova a braccetto con i grillini, spinto soprattutto da Matteo Renzi, che ha giocato una partita spregiudicata e senza avversari per avere il tempo di organizzare il suo partitello. Zingaretti ha firmato l’accordo, ha definito Renzi “una risorsa per il Pd”, salvo poi vederlo abbandonare il partito un secondo dopo aver ottenuto ministeri e sottosegretariati e portarsi via nella fuga deputati e senatori, come un topo d’appartamenti che arraffa quello che trova e scappa.

I 5 Stelle intanto rivelano sintomi evidenti di dipendenza dal potere di governo e sottogoverno e si accorgono di aver perduto la loro anima rivoluzionaria e antisistema. La forza quasi disperata con la quale hanno cercato l’accordo con il Pd pur di non andare al voto la dice lunga  sulla parabola di un Movimento che puntava al 51% (parole di Grillo) e che ora è disposto a cercare stampelle a destra e a sinistra pur di non uscire dai salotti damascati dei ministeri.

Ma non c’è da stupirsi, o comunque non servirebbe a nulla. Tutto cambia da un giorno all’altro, la coerenza non ha più senso, in questa nebbia che si respira a sinistra e che sbiadisce i colori delle bandiere rendendole tutte uguali, tutte intercambiabili, tutte indistinguibili. Le idee non esistono più, il disegno di Paese si è smarrito, si vive alla giornata, la politica ha perso i suoi punti fermi, l’obiettivo è vincere, non per governare,  ma per impedire che vinca quell’altro. Si balbetta di cuneo fiscale, di incentivi, di superticket, ma alla fine viene fuori una manovra timida e incolore, che serve solo a scavallare l’anno e poi chi vivrà vedrà. 

Sul fronte costituzionale, l’alleanza con il Pd ha permsso ai 5 Stelle di portare a casa la riforma simbolica del taglio dei Parlamentari, una misura inutile, se non gravemente dannosa, che farà risparmiare pochissimo e che non è stata accompagnata dalle necessarie modifiche costituzionali, legislative e regolamentari. Il Pd e la sinistra, con il solo scopo di garantirsi qualche mese in più di governo, si sono accontentati di generiche promesse, firmando una cambiale in bianco rischiosissima. 

Sul fronte dell’immigrazione, il celebrato vertice di Malta con Francia, Germania e Finlandia non ha in realtà prodotto risultati tangibili. L’Italia continuerà a doversi far carico della larghissima maggioranza dei migranti che arrivano sulle sue coste esattamente come prima, con la differenza che l’assenza di Salvini sembra aver scatenato una sorta di via libera ai trafficanti, che hanno quasi triplicato gli arrivi a settembre. 

Per quanto riguarda la Legge di Bilancio, gli esordi sono stati imbarazzanti, con discussioni surreali sulle merendine e l’iscrizione fra le entrate di ben 7,2 miliardi dalla lotta all’evasione, nel disperato tentativo di portare il deficit verso una cifra accettabile per la Commissione Europea. La quale Commissione, in realtà, non vede l’ora di darci una mano, spaventata anch’essa da un ritorno di Salvini, che con la Von Der Leyen ha un conto aperto che non vede l’ora di saldare. Ma attenzione a contare troppo sulla benevolenza di Bruxelles, perché se è vero che agli affari economici c’è Paolo Gentiloni, è anche vero che su di lui vigila una mastino come il lettone Valdis Dombrovskis.

Ma non c’è tempo per i dubbi, bisogna resistere, chiusi nel bunker, sperando andreottianamente che il potere logori Salvini, che al momento non ce l’ha. Si avanza quindi al buio, fra gli iceberg e le onde, sperando che prima o poi la nebbia si diradi e spunti il sole e si trovi finalmente una rotta. Il potere è il collante, Salvini è la scusa per stare insieme costi quel che costi. Tanto che la prospettiva che si apre è quella di una metamorfosi a uno stadio ancora più avanzato, che spinga le due forze ad unirsi e alla fine a fondersi una nell’altra. 

Come su un piano inclinato, le due forze rotolano verso un destino comune, le divergenze insanabili diventano convergenze parallele, i due elettorati, o quel che resta di essi, smettono di insultarsi. A livello di ministri , gli “incapaci” e “pericolosi” esponenti dei 5 Stelle diventano soggetti preparati, che “approfondiscono i dossier”, come Franceschini, tornato alla Cultura, ha generosamente detto di Luigi Di Maio. I ministri del Pd non sono più “PDioti”, ma leali compagni di strada. 

Ci si riconosce una dignità reciproca, impensabile solo poche settimane fa, che è il preludio ad accordi più profondi e duraturi. “Altrimenti torna Salvini”, dice Zingaretti, pronunciando la formula magica, la password che consente qualsiasi capriola politica in questa disinvolta fase storica. E’ infatti Salvini, la sua ombra, che si allunga sull’Italia e sull’Europa, a portare il governo giallo-rosso a questo strano processo osmotico sempre più intenso che diluisce il Pd nei 5 Stelle e i 5 Stelle nel Pd, fino a formare una soluzione ibrida che non sarà né l’una né l’altra cosa, una miscela di messaggi politici sempre più confusi e meno leggibili, un’identità indefinita con la quale questo Frankenstein politico si presenterà agli elettori.

Reggerà questa creatura di laboratorio all’urto elettorale che arriverà dalle (ex?) regioni rosse? In Umbria gli ultimi sondaggi sono pessimi, la candidata del centrodestra, Donatella Tesei, viaggia con percentuali irraggiungibili dal candidato di Pd e 5 Stelle, Vincenzo Bianconi, fra l’altro sfiorato da vicende che lo riguardano legate alla ricostruzione post terremoto. L’impressione è che senza una visione, un’idea forte, con i partiti di governo che litigano e cercano visibilità uno a scapito dell’altro, con l’incognita di Matteo Renzi che vuole tornare a palazzo Chigi nonostante sia il leader più detestato d’Italia, la sfida contro Salvini sarà molto difficile. Per parafrasare ancora la PFM, “ho quasi paura che si perda”.