Bruxelles deve trovare una quindicina di miliardi per riempire il buco nei suoi conti derivante dalla Brexit e pensa a nuove tasse. I tagli di spesa li suggerisce solo ai paesi e ai governi in nome del Fiscal Compact. Emmanuel Macron vorrebbe cambiare l’Europa col suo movimento En marche ma si limita a fare una politica nazionalista anche fuori dai suoi confini alpini, con irruzioni nelle stazioni ferroviarie altrui come accaduto a Bardonecchia. Le frontiere, eliminate per trattato, riemergono con forza nelle urne e permangono nel Mar Mediteranneo e qualcuno pensa ancora di riformare soltanto i meccanismi monetari dell’Ue.
Nella loro ultima riunione prima di Pasqua i commissari europei hanno discusso del prossimo bilancio Ue, la cui proposta definitiva sarà presentata il 2 maggio, ma senza mettere un punto fermo su come si coprirà il buco creato dalla Brexit che sarà tra i 12 e i 15 miliardi. Il vicepresidente Valdis Dombrovskis ha ricordato le proposte per reperire ‘risorse proprie’ presentate già a febbraio dalla Commissione, e discusse anche oggi. Si tratta di una tassa sulla plastica, dei ricavi dello scambio di quote di emissioni nocive (Ets), dei profitti sul signoraggio bancario, dei proventi di una tassa sulle transazioni finanziarie. “Tutte ipotesi in discussione, nessuna confermata o eliminata”, ha detto Dombrovskis. Altra possibilità sarebbe utilizzare i soldi della Bce. La Commissione europea starebbe pensando – secondo il Financial Times – anche di utilizzare gli utili che la Bce realizza attraverso il signoraggio: si tratta dei profitti, stimati in 56 miliardi di euro, fatti da Francoforte stampando banconote, attualmente in larga parte girati dalla Bce alle banche centrali nazionali e da queste agli Stati.
Insomma, pur di non limare le spese di un bilancio che tocca i 1.000 miliardi di euro, ci si inventa qualsiasi cosa e nello stesso tempo si decide di non tagliare i 76 posti che la Gran Bretagna lascerà vacanti nel Parlamento Europeo: verranno redistribuiti, comprese le spesse annesse, tra tutti i 27 paesi, senza nemmeno ipotizzare di lasciarli liberi per una lista transnazionale come voleva Emanuel Macron.
A questo punto viene da chiedersi perché il prossimo governo italiano debba stare lì a temere gli strali della Commissione quando dovrà impostare la prossima legge di Bilancio e il Def. Se il governo dell’Europa si comporta così, perché non sfondare il deficit e dare seguito alle pur costosissime promesse elettorali e innestare una bella retromarcia sul cammino europeo? La domanda non è retorica e potrebbe anche porsela chi sederà a Palazzo Chigi dopo le consultazioni al Quirinale.