Non abbiamo una sfera di cristallo per immaginare cosa realmente si deciderà di concretizzare del nuovo programma di governo redatto da forze politiche così eterogenee. Quel che è certo, è che questo esecutivo nasce da un compromesso per evitar il peggio, con “i responsabili” delle rispettive controparti che sono riuscite a tenere a freno le mire personaliste e nichiliste dei propri compagni di partito.

Per ora sembra che la nostra classe dirigente sia riuscita a rimandare quello che sembrava un inevitabile tracollo del paese verso una spirale di crisi del tutto imprevedibile che si stavaconcretizzando in una forte spaccatura della società, nello smantellamento della democrazia liberale della tutela dei dirittiumani nell’uscita dall’Ue e dal blocco occidentale.

Per chi si occupa di società civile, di politica o, in generale, di corpi intermedi ha visto – quasi letteralmente  una scossa correre per tutto il mondo dell’associazionismo in questo brevissimo lasso di tempo in cui il quadro politico si è rivoluzionato. “Si riparte!”, sembra di sentire ad ogni angolo. Il problema, per evitare un frenetico immobilismo, è capire quali siano le priorità e dove si deve andare.

È vero, oggi c’è una flebile speranza, si è finalmente aperta una finestra storica e d’azione che può davvero cambiare le cose, che si fonda sul ruolo che questo nuovo governo (se durerà) deciderà di giocare in Europa. I tempi non sono mai stati così favorevoli per un rilancio del cruciale ruolo italiano per sbloccare l’arenato duo franco-tedesco. Le istituzioni comunitarie hanno tutto da guadagnare nel sostenere questa prospettiva. L’Italia può infatti rappresentare un’ottima spalla istituzionale per implementare il coraggioso programma proposto dalla nuova Commissione, sostenuto da un Parlamento europeo dove i nazionalisti sono risultati ancora una volta sconfittiDeterminante in termini mediatici sarebbe poi un’Italia in grado di uscire dalle sabbie mobili delle procedure di inflazione senza manovre da “lacrime e sangue”: la miglior pubblicità anti-nazionalpopulista, forse addirittura più efficace della stessa Brexit.

Chi ci guadagna di più, in tutto questo, è però proprio l’Italia che,da sola, non sarebbe in grado né di rilanciare gli investimenti e la produttività, né di sostenere la spesa sociale, né di dare un governo umano ai flussi migratori. Con il sostegno politicoeuropeo tutto però può cambiare in meglio. Se si andrà nella direzione di questo doppio patto di rilancio (da una parte l’Italia che torna a spendersi attivamente per rimettere in moto il processo di integrazione e dall’altra l’Unione che può indirettamente sostenere l’Italia nelle sue sfide) non solo i cittadini torneranno ad avere fiducia nelle istituzioni e nella vita democratica nazionale ed europea, ma assisteremo ad alcuni storici passi avanti nel processo di unificazione del continente

Le tappe per realizzare questo quadro passano però dal rispetto delle regole e della dialettica europea per poterne sfruttare al meglio tutti gli strumenti e le potenzialità. Non c’è da “battere i pugni sul tavolo a Bruxelles”, ma da fare politica di alto livello per dare un futuro al paese e al continente. Da un lato si possono sfruttare senz’altro alcuni strumenti esistenti, come l’uso del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici o una nuova missione “Sophia” per il Mediterraneoma dall’altro occorre prendere l’iniziativa per dotare l’Udi una vera capacità di rispondere alle richieste dei suoi cittadini per disinnescare il tentativo dei nazionalisti di sfruttare il malcontento popolare. Servono dunque una vera politica economica e sociale europea, una per il governo dei flussi migratori, una politica estera e di sicurezza unica. Come si fanno alcuni passi concreti in questo senso? Superando l’unanimità nel processo decisionale del Consiglio, dotando il bilancio dell’Unione di risorse proprie e l’Unione Economica e Monetaria di una sua capacità fiscale,riformando i regolamenti di Dublino, implementando una seriaintegrazione militare che si sviluppi parallelamente alle forze nazionali e facendo sì che l’UE abbia una forte rappresentanza unitaria nelle organizzazioni internazionali.

Il tempo della politica corre però molto veloce. L’ottimismo delle ultime settimane non durerà se non è corroborato da rapidi e coraggiosi avanzamenti concreti. Le materie elencate in precedenza non possono essere del tutto affrontare senza cambiamenti istituzionali. Questo limite ha sempre rappresentato un muro politico invalicabile. Oggi in quel muro si è però aperto finalmente uno spiraglio. La Conferenza sul futuro dell’Europa, proposta da Macron e ripresa anche dalla Von der Leyen, può rappresentare infatti l’occasione per rilanciare il processo di unificazione dell’Europa evadendo i vincoli di Lisbona.

A quell’appuntamento il governo italiano deve trovarsi pronto e capace di spingere avanti gli altri attori in senso progressista,accompagnandovi (parallelamente) le singole battaglie per le policies che si concludono nelle istituzioni. 

La speranza è che la nostra classe politica comprenda finalmente che il destino dell’Italia è legato a quello dell’Unione: l’Italia non si salva senza l’Europa; ma questa Europa non si riuscirà a rilanciare senza l’Italia. 

Non dobbiamo però raccontarci delle favole: il problema è che se noi senza l’Unione siamo destinati a finire mangiati da uno dei colossi che si stanno riaffacciando sul Mediterraneo in questo mondo multipolare (Russia e Cina, per far due esempi); l’Europa senza di noi potrà comunque sopravvivere in qualche modo, anche se fortemente indebolita e trasformata.