Solo chi ha vissuto in prima persona il dramma di un familiare portato via da una malattia degenerativa, o peggio, vegetativa, sa cosa significa affrontare il tema del fine vita. Oltre ovviamente a chi non c’è più. E non lo può raccontare.
È capitato anche a me, eppure non sono ancora in grado di esprimere una valutazione compiuta della legge che finalmente è in discussione in Parlamento.
Ma grazie al collega Igor Greganti dell’Ansa, il cui articolo sul processo per la morte del DJ Fabo fa discutere sui social, ho capito che bisogna far parlare chi questo viaggio senza fine ha vissuto da vicino. Ecco il suo racconto.
Milano, 4 novembre 2017
Nell’aula piena ciò che è risaltato, più delle lacrime che anche i giudici popolari e i pm trattenevano a stento, è stato il silenzio con cui tutti, anche cronisti, pubblico e avvocati, hanno seguito le parole della fidanzata e della madre di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo e morto col suicidio assistito il 27 febbraio scorso in una clinica svizzera, che raccontavano la sua voglia di vivere e il dolore fisico e psicologico di essere diventato cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale nel 2014 e la sua decisione di andarsene.
“Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada “è stato l’ultimo saluto, come raccontato dalla madre. È con la forza e la commozione delle testimonianze delle due donne –
nel processo al tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato il 40enne nella clinica e aver rafforzato il suo proposito –
cha ha preso forma, davanti alla Corte d’assise, la vita di Fabo in ogni suo aspetto più che la morte. “Non devi sentirti sconfitta, per me questa è una vittoria”, disse Antoniani, con la passione per la musica trasformata in lavoro, alla fidanzata Valeria poco tempo prima di farla finita. E con la sua battaglia “pubblica” Fabo, che “amava la vita all’ennesima potenza”, ha spiegato la compagna, si sentì di nuovo “vivo e utile”, fece anche lo “sciopero della fame e della parola” coi suoi cari per non essere fermato. E all’amata fece sapere anche: “Tu saprai dove trovarmi, io torno a essere energia nell’universo”. Valeria Imbrogno ha messo in luce come la cosa per lui più insopportabile fosse quella di non vedere più (“altrimenti credo non avrebbe deciso di morire”), ha descritto la “speranza” che aveva dopo l’incidente di tornare più vicino possibile alla vita di prima, quando in India provò la “terapia delle staminali” che non funzionò e poi il periodo finale in cui decise di “mollare”.
La madre, Carmen Corallo, ha riconosciuto la sua voglia di lottare, in quei “2 anni e 9 mesi in cui è stato immobile”, ma non ha nascosto che il figlio sin da subito la mise di fronte al fatto che sarebbe andato in Svizzera a morire. “Io e Valeria abbiamo molto barato con lui – ha ammesso – ma lui non era stupido e si è anche arrabbiato molto, perché pensava che noi rallentassimo la sua morte ed era vero.
Ricordando le ultime parola che gli lasciò come conforto “la mamma vuole che tu vada”, prima che lui schiacciasse con la bocca il pulsante, la madre ha pianto e il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano le si è avvicinata con un fazzoletto dicendole che era stata “sin troppo forte”. Quel pm che con la collega Sara Arduini aveva chiesto l’archiviazione per Cappato, ma poi fu il gip a disporre l’imputazione coatta e dare il la al processo. “Meravigliosi erano i colloqui” tra il figlio e Cappato per la madre del 40enne. L’esponente radicale gli parlò della “possibilità italiana”, ossia di interrompere le cure, ma “Fabiano non aveva pèaura di morire, aveva paura di soffrire ancora e di morire soffocato”. Fuori dall’aula ai cornisti la donna ha lasciato un auspicio: “speriamo che sia la volta buona per avere una legge sul biotestamento, mio figlio ha lottato tanto per questo”.
La lunga agonia, “anche 7-10 giorni”, a cui sarebbe andato incontro con lo stop alle terapie (era attaccato a macchine per nutrirsi e respirare) si vedrà nel filmato integrale dell’intervista a “Le Iene” il 13 dicembre in aula. “Mi chiese più volte di aiutarlo a farla finita – ha spiegato l’infermiere che lo assisteva – aveva fino a 70 contrazioni al giorno, lo facevano saltare dal letto, piangeva e diceva “non ce la faccio più dal dolore, questa non è vita”.
Fonte: ANSA da Facebook