di Pietro Forti

Ci spaventa l’assenza di lucidità e di riflessione, e in “quarantena” rischiamo di andare in questa direzione. La mancanza di spirito critico è la morte della società, certo, ma se questo è esercitato male rischia di diventare un problema in situazioni eccezionali e senza precedenti nella storia repubblicana come la nostra attuale condizione.

Si va intavolando una polemica assurda sullo “stato di polizia”, sulle libertà personali e sulle colpe di chi esce di casa. E, peggio, va assumendo dei contorni grotteschi. Si è già letto di limitazione perpetua delle libertà personali e simili.

Si è creato un precedente limitando le libertà personali? Sì, previsto abbastanza esplicitamente dalla Costituzione, dunque non c’è altro da aggiungere. 

Sicuramente esiste un modo più intelligente di portare avanti questa limitazione rispetto ad andare in giro a disperdere gli assembramenti e a multare la gente che va in bicicletta, ma è il caso davvero di tirare in ballo il fascismo? Non lo si è scomodato per nulla già un po’ troppo negli ultimi due anni?

A ciò si aggancia una riflessione su quanto detto qualche giorno fa dall’assessore lombardo Gallera): il 40% dei lombardi che sono usciti di casa il 20 febbraio (prima dell’emergenza) continua a fare spostamenti significativi fuori di casa, dato ricavato attraverso lo spostamento di dispositivi da una cella telefonica all’altra. È un dato allucinante data la situazione da codice rosso in Lombardia, e che difficilmente tiene conto solo di spostamenti urgenti. 

Sarebbe forse opportuno aggiungere una postilla: chi continua a dover andare al lavoro in qualsiasi settore che non siano quelli di sostentamento alimentare (e ovviamente quello sanitario) è assolutamente necessario che continui a farlo? Se così fosse, il governo ha pensato un “DDL cura” evidentemente inefficace e tarato su un modello che prevede la persistenza di situazioni di contagio. E se ciò possa essere un sistema sostenibile ce lo dirà solo il tempo.

Il punto però non è questo: l’amministrazione lombarda ha fatto una cosa naturale, e cioè chiedere dati sugli spostamenti a chi ne ha in abbondanza, cioè le compagnie telefoniche. La cosa per ora più simile, cioè, ad un controllo stretto legato all’utilizzo dei dispositivi mobili. 

Sorge un nuovo interrogativo, quindi: si creerebbe un precedente se iniziassimo a usare in maniera massiva strumenti di controllo? Ad esempio, tracciare i cellulari? 

La situazione, a chi scrive, pare sia la seguente: siamo già osservati. Per chi segua con attenzione e passione vicende legate alla privacy questo è un dato assodato. Lo siamo in ogni aspetto della nostra vita, i nostri dati sono merce di scambio e la nostra posizione è nota (più o meno) per nostra scelta a varie multinazionali. Decine di studi condotti collateralmente all’attività di divulgazione di Edward Snowden dimostrano proprio questo: una “sorveglianza globale” esiste. Per quanto possa e non essere la Spectre a condurla e 007 a combatterla, esiste sia su un piano pubblico che su un piano privato.

Senza addentrarsi troppo nei dettagli, disponibili al livello accademico e giornalistico, si torni all’interrogativo di cui sopra. Nel passato, ci si è posti la domanda “è giusto utilizzare i dati di quanta più gente possibile unicamente per fini commerciali senza che esista una legislazione corrente a riguardo?”. Dato per assodato che questo sta già accadendo, la questione cambia: è giusto fare lo stesso per motivi di ordine pubblico durante una pandemia?

In Italia, per motivi ovvi, si ha paura di qualunque cosa che possa avere derive platealmente “spiacevoli” o anche solo in qualche modo “inquietanti”, incerte. Questo riguarda ogni ambito della cosa pubblica, ma nonostante ciò non siamo mai stati in grado di tutelarci dalle suddette derive. Se si continuasse così, non saremmo in grado di munirci di strumenti fondamentali ma, come ogni cosa, potenzialmente dannosi. In questo caso specifico, un controllo della popolazione potrebbe sembrare “dittatoriale” in qualche contorta analogia. 

È certo che se non si avesse la più totale padronanza di questi strumenti il rischio sarebbe alto; ma quella a cui stiamo andando incontro sempre più velocemente è una strage. A cui la limitazione delle libertà personali e il controllo delle nostre attività da parte delle istituzioni è preferibile su ogni livello.