Nulla rivela il destino del Mediterraneo meglio delle sue isole. In molti si ammalano di islomania e non è detto che siano sempre gli abitanti. Lawrence Durrel definisce perfettamente questa patologia che cura l’anima. La malattia sarebbe ‘’contagiosa’’, anche per chi sulle isole c’è finito non per scelta ma per decisione di un regime ottuso che non ha capito come la reclusione delle migliori menti rivoluzionarie dell’epoca avrebbe invece partorito l’idea di democrazia di cui oggi godiamo. Paradossalmente, sarebbe da ringraziare quel burocrate fascista, se non avesse usato la violenza e la tortura per una moltitudine meno fortunata cui dobbiamo eterna riconoscenza.

Oggi però un’isola, anche un’isola piccola come Ventotene, di cui mi onoro di esserne cittadino, non si può permettere di restare tale. Un’isola non può sparire come la mitica Atlantide e restare confinata nei racconti di chi la ama e nei tanti cenni storici che la celebrano. Come l’Italia non può permettersi di restare un’isola nel Mediterraneo e in Europa. Un’isola per la sua natura eterogenea, per la storia antica e recente che ancora non pervade l’anima di tutti gli italiani. Quest’anima emerge solo nelle memorie dei suoi padri fondatori. Anche per questo noi italiani siamo i migliori europeisti e portatori di pace nel mondo, esecutori di una Costituzione che sancisce il ripudio della guerra. Negli ultimi 150 anni non è stato così.

Se vogliamo davvero diventare la guida, insieme ai compagni di viaggio, dell’Unione Europea che trova le sue radici sull’isola del Manifesto che ne ha incardinato le aspirazioni federaliste, dobbiamo essere consapevoli dei nostri errori. Giusto un anno fa, i tre leader dei paesi fondatori, Matteo Renzi, Francois Hollande e Angela Merkel, si sono ritrovati a Ventotene per rinnovare l‘alleanza di pace stretta nel 1957 da Italia, Francia e Germania.

Quel gesto simbolico di fermarsi in raccoglimento davanti alla tomba di Altiero Spinelli può avere un significato più alto se riconosceremo i nostri errori. Non esistono solo quelli, terribili, degli altri. Esistono i nostri. I francesi, cui oggi ci lega una cuginanza di amore-odio, li abbiamo traditi due volte, dopo che ci aiutarono a diventare indipendenti. La prima volta, nel 1870, quando assistemmo inerti alla guerra franco-prussiana, approfittando anche della situazione per conquistare la futura capitale del nascente Regno. La seconda avvenne, quando, dopo aver concluso un’alleanza per le nostre aspirazioni colonialistiche, li aggredimmo nel 1940. E anche i tedeschi possono dire di noi altrettanto. Immemori della Triplice Alleanza, rimasta solo sulla carta, combattemmo la Germania durante la prima guerra mondiale e la tradimmo, a guerra quasi finita, nella seconda, giusto in tempo per non essere completamente complici della follia inumana del nazismo. Dobbiamo ai nostri connazionali partigiani e partigiane aver sventato in parte la chiamata in correo di fronte al tribunale della storia.

Ma francesi e tedeschi, ancora oggi, non dimenticano. E hanno costruito la casa comune europea sulla base delle nostre idee, poggiandone però le fondamenta su un direttorio regolamentare la cui filosofia sembra fatta apposta per noi: i patti si devono rispettare. Sempre.

Diventa quindi un compito arduo ma una sfida cruciale, rilanciare dall’isola ‘’manifesto’’ e dal nostro paese, la necessaria evoluzione dell’Unione Europea, in un’ottica ancora più solidale e politica, che vada oltre gli steccati della tecnofinanza e delle clausole contabili.

Noi potremo dirci cittadini di questa splendida isola chiamata Europa, solo quando, insieme ai principi base della convivenza civile, in tutte le scuole del continente si insegnerà la ‘’cittadinanza europea’’, quell’insieme di regole non scritte che ci rendono però differenti rispetto al resto del mondo, agli angoli infuocati e in guerra del pianeta, ai nuovi nazionalismi che solleticano ad Est ed Ovest l’egoismo dell’opinione pubblica, a chi vuole usare l’Islam per portare terrore e morte nelle nostre strade, ai nuovi schiavisti di uomini, donne e bambini.

Queste regole che fanno tanta paura si chiamano democrazia, libertà, legalità, parità di diritti tra generi, rispetto per le minoranze religiose, politiche e sessuali. Non scordiamolo mai e combattiamo per difenderle contro chi vuole renderle irrilevanti o peggio, fuori dal tempo.

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