Sono tredici le norme che dovrebbero comporre il regolamento con indicazioni ben precise per le Organizzazioni umanitarie non governative che, ogni giorno da anni, mettono in salvo migliaia di vite umane. Dopo una prima versione che ha trovato il rifiuto di alcune Ong, prima tra tutte Medici senza Frontiere, è finalmente stata licenziata ed entrata in vigore la nuova edizione che oltre ad avere il pieno sostegno della Ue, potrebbe risolvere in parte i malumori delle stesse organizzazioni. Rispetto alla precedente versione, in quella ormai ufficiale, sono state apportate delle correzioni sulle due questioni più discusse: la presenza della polizia a bordo delle navi e il divieto di trasbordo dei migranti su altre unità. Nel primo caso, le Ong sottoscrivono “l’impegno a ricevere a bordo, per il periodo strettamente necessario, su richiesta delle autorità nazionali competenti, ufficiali di polizia giudiziaria” affinché possano raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di esseri umani, “senza recare ostacolo alle attività umanitarie”. Le Ong vorrebbero che gli agenti lasciassero a terra le armi, ma nel testo non viene menzionata questa richiesta che, in ogni caso, non ha molte chance di essere accolta.

Nel secondo caso, invece, quello che riguarda le operazioni di soccorso e salvataggio le Ong non possono “trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente Centro di coordinamento per il soccorso marittimo (Mrcc) e sotto il suo coordinamento anche sulla base delle informazioni fornite dal comandante della nave”.

Le norme di comportamento prevedono, inoltre, di non entrare nelle acque libiche, “salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo” e non ostacolare l’attività della Guardia costiera libica. Non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione. Non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti. Attestare l’idoneità tecnica per le attività di soccorso. In particolare, viene chiesto alle Ong anche di avere a bordo “capacità di conservazione di eventuali cadaveri”. Informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca ufficialmente istituita. Tenere aggiornato il competente Centro di coordinamento marittimo sull’andamento dei soccorsi. Informare costantemente lo Stato di bandiera dell’attività intrapresa dalla nave. Cooperare con il competente Centro di coordinamento marittimo eseguendo le sue istruzioni. Dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l’Ong è registrata. È riportata, tra le tredici regole l’impegno a una cooperazione leale con l’autorità di pubblica sicurezza del previsto luogo di sbarco dei migranti e il recupero, “una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile”, delle imbarcazioni improvvisate e i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.

Pur non essendo riportata esplicitamente l’interdizione dai porti, è previsto che la mancata sottoscrizione del Codice di condotta o l’inosservanza degli impegni in esso previsti, comporti l’adozione di misure da parte delle autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane.

Se però il Viminale ha con forza ribadito che la mancata accettazione e firma del Codice pone quelle organizzazioni non governative “fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse”, il “Codice Minniti” è stato invece sminuito dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) che, ha paragonato il regolamento a un ostacolo che “mina l’efficacia delle attività di soccorso”. Per l’ASGI il Codice “non è un atto avente valore di legge, né una disposizione regolamentare, emanata in attuazione di una norma primaria, e per di più si rivolge a una pluralità di soggetti non gerarchicamente collegati con la pubblica amministrazione – scrive in una nota. Si tratta in sostanza, di una proposta di accordo, che, come tale, necessita quel coinvolgimento paritario delle parti che invece è clamorosamente mancato. La mancata sottoscrizione, perciò, non può avere alcuna conseguenza giuridica: non sarà legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle Ong non firmatarie se non nei casi e nei limiti già sanciti dalle norme nazionali e internazionali”.

Polemiche a parte, il governo procede spedito. Dopo l’approvazione in Senato, nella seduta del 3 agosto, la nave Comandante Borsini, della Marina Militare, è già entrata nelle acque territoriali libiche, dopo aver ricevuto le necessarie autorizzazioni e ha fatto rotta verso il porto della città di Tripoli. A bordo, per come specificato dallo Stato Maggiore della Difesa, è imbarcato il nucleo di ricognizione, costituito da Ufficiali del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Squadra Navale, che ha ricevuto il compito di condurre, congiuntamente con i rappresentanti della Marina e della Guardia Costiera libiche, le necessarie attività di ricognizione e di definire le ultime modalità di dettaglio per quanto attiene alle misure di coordinamento delle successive attività di supporto e di sostegno, che avverranno su richiesta dei padroni di casa.