Dalla newsletter Marat di Francesco Maselli

 

 

Ieri più di 250.000 persone hanno manifestato in Francia contro l’aumento del prezzo del carburante deciso dal governo, in un movimento chiamato “Gilets jaunes”, nome ispirato ai famosi gilet gialli che gli automobilisti devono indossare obbligatoriamente quando si fermano in autostrada o nelle strade statali per un problema alla loro auto. In breve, l’annuncio delle misure governative, che prevedono un aumento a partire da gennaio di 6,5 centesimi sul diesel e 2,9 centesimi sulla benzina senza piombo (dopo un aumento di 8 centesimi sul diesel e 4 centesimi sulla benzina nel 2018) aggiunto all’aumento del prezzo del petrolio hanno fatto esplodere la rabbia di chi utilizza la propria auto per andare a lavoro ogni giorno (in totale la benzina nel 2018 è aumentata in media di 19 centesimi, mentre il diesel di ben 30). Il progetto, che prevede un costo uguale per diesel e benzina e un aumento totale durante il mandato di Macron di circa 30 centesimi al litro di tasse sul diesel e 15 sul senza piombo, è pensato per aumentare i fondi disponibili per i progetti di transizione ecologica e per aumentare in generale le entrate fiscali dello stato.

Il grafico è del Point

In Francia esistono due tipi di tasse sul carburante che pagano i consumatori: il regime ordinario della Tva (l’Iva francese al 20 per cento) e la taxe intérieure de consommation sur les produits énergétiques (TICPE). Quest’ultima è una gallina dalle uova d’oro, secondo la manovra varata il mese scorso porterà nelle casse dello stato ben 37,7 miliardi di euro nel 2019, che verranno utilizzati nel seguente modo: il 19 per cento direttamente sulle politiche di transizione ecologica, il 3,2 per cento per investimenti in infrastrutture e trasporti, il 45,1 per cento per il budget generale dello stato e il 32,6 per cento per il budget delle collettività territoriali (comuni, regioni, dipartimenti).

Spontaneamente, nelle scorse settimane, grazie ai social media, molti francesi hanno cominciato a organizzare dei sit in per protestare contro il governo; il movimento ha preso piede, la stampa ha cominciato a parlarne e l’idea di utilizzare il gilet jaune come parola d’ordine ha facilitato l’aggregazione. Ieri, dunque, il movimento ha organizzato più di 2.000 blocchi stradali per paralizzare completamente la circolazione automobilistica in tutto il paese, occupando snodi nevralgici come rotonde, svincoli, entrate e uscite delle tangenziali delle grandi città, stazioni di pedaggio. Il blocco, sì spontaneo ma capillare, ha raggiunto il suo scopo ma ha creato anche grande nervosismo tra gli automobilisti, soprattutto quelli costretti a muoversi: più di 400 persone sono state ferite (14 in modo grave) da chi ha provato a forzare i blocchi, e una persona è rimasta uccisa in un incidente. Chantal Mazet, 63 anni, era tra i manifestanti che bloccavano una rotonda nella zona commerciale di Pont-de-Beauvoisin (in Savoia), quando è stata travolta da un’automobile che ha provato a passare nonostante l’alt dei manifestanti. La conduttrice stava accompagnando sua figlia dal medico, e ha chiesto di passare, ma i gilet jaunes hanno cominciato a colpire la sua automobile; la donna ha detto di essere stata presa dal panico, ha accelerato e ha investito Chantal Mazet, che è morta sul colpo.

Cosa vuol dire questa protesta nei confronti di Emmanuel Macron e della sua politica? Le analisi sono secondo me molto complicate, anche perché il movimento è spontaneo e se vogliamo estemporaneo: non ha un leader, non ha un’agenda né un programma. Victor Hugo ha descritto in modo lucidissimo qual è la differenza tra disordini e insurrezione. Ecco un passo dei Miserabili, dove Hugo ragiona sulla rivolta repubblicana di Parigi del 1832:

“Di cosa si compongono i disordini? Di niente e di tutto. Di un’elettricità che si sprigiona poco a poco, di una fiamma che diventa gialla in poco tempo, di una forza che erra, di un soffio che passa presto. Questo soffio incontra delle teste che pensano, dei cervelli che sognano, delle anime che soffrono, delle passioni che bruciano, dei miseri che urlano, e li porta. Ma dove? Al caso.

[…] I disordini sono una sorta di tromba dell’atmosfera sociale […] Se crediamo a certi oracoli della politica ipocrita, dal punto di vista del potere, un po’ di disordini sono desiderabili. Sistema: i disordini riaffermano i governi che non riescono a far cadere; mettono alla prova l’esercito; concentrano la borghesia; stirano i muscoli della polizia; constatano la forza dell’ossatura sociale. E’ una ginnastica, quasi dell’igiene. Il potere sta meglio dopo i disordini come l’uomo dopo delle flessioni”.

Ma Hugo mette in guardia il potere, perché i disordini potrebbero evolvere in qualcosa di diverso.

“Ci sono le insurrezioni accettate che si chiamano rivoluzioni; ci sono le rivoluzioni rifiutate che si chiamano disordini. Un’insurrezione che scoppia, è un’idea che sostiene il suo esame davanti al popolo. Se il popolo lascia cadere la sua palla nera, l’idea rimane come frutta secca, l’insurrezione non è altro che un tafferuglio”.

In altre parole, la storia francese è piena di disordini, di rivolte che esplodono e si sgonfiano in poco tempo. Questa mobilitazione del 17 novembre potrebbe essere uno dei tanti casi del genere. Esistono tuttavia alcune tendenze di fondo, legate certamente alla politica di Emmanuel Macron ma anche preesistenti ad essa.

Il grande scontento da parte degli automobilisti è ormai irrecuperabile. Non è la prima misura che incide sui proprietari di automobile: il governo aveva deciso, a partire dal primo luglio, di abbassare la velocità da 90 km/h a 80 km/h sulle strade statali. Una decisione criticatissima dalla cosiddetta Francia rurale, che ha vissuto la diminuzione del limite di velocità come un modo di aumentare il gettito delle multe, effettivamente aumentate. Questa decisione è il precedente che fa pensare a chi abita in campagna, utilizza la macchina per muoversi e non beneficia dei vantaggi del trasporto pubblico dei grandi centri urbani, di essere visto come una sorta di pollo da spennare da parte del governo. E qui entra in gioco il grande bipolarismo che esiste in Francia, molto più evidente e profondo di quello tra ricchi e poveri o tra alto e basso (il divario tra la popolazione non è soltanto economico, ma anche culturale, di accesso alle opportunità della globalizzazione): il bipolarismo tra centro e periferia. Basta guardare il prossimo sondaggio per capire chi sostiene questa mobilitazione contro l’aumento del prezzo del carburante.

Il sostegno nei comuni rurali secondo l’Ifop è al 57 per cento, ovviamente la mobilitazione è sostenuta da chi è più dipendente dall’automobile, che si trova all’88 per cento dei casi in comuni rurali

A questo si aggiungono le incomprensioni con il governo: il primo ministro Edouard Philippe ha annunciato che il governo darà fino a 4000 euro di aiuto a chi vuole sostituire la sua automobile diesel con un’auto elettrica. Sulla carta è un’ottima intenzione, ma in pratica ha fatto innervosire ancora di più chi ha un reddito basso e arriva a malapena alla fine del mese cercando di risparmiare su ogni singolo euro di spesa: che me ne faccio di 4.000 euro di bonus per comprare un’automobile che ne costa 15.000, se il mio conto in banca è inferiore a 1.000 euro?

Questo grafico, che è del Monde, mostra quanto il budget familiare dei francesi più poveri sia “costretto”: più di 2/3 del reddito dei più poveri è utilizzato per pagare fatture, affitto, abbonamenti delle telecomunicazioni. Delle spese di cui non si può fare a meno.

La classe medio alta che ha portato Emmanuel Macron al potere non ha contezza di cosa voglia dire vivere in campagna e utilizzare la propria auto per spostarsi. Il divario in questo senso è profondo, secondo i dati dell’Insee (l’Istat francese) del 2015, gli abitanti della regione parigina (grande serbatoio di voti macronista) utilizzano sempre meno la propria automobile per spostarsi. In più, questa parte di elettorato è molto sensibile alle tematiche ecologiche, e quindi non riesce a comprendere la protesta di chi si pone, esagero ma è una corrente di pensiero molto popolare a Parigi, come amico della benzina e nemico dell’ambiente.

A Parigi soltanto il 36 per cento delle famiglie possiede una macchina, tasso che aumenta se si considera tutta la regione parigina (66,7 per cento), ma che resta inferiore a quello di regioni più periferiche come la Bretagna, (87 per cento), i paesi della Loira (86,8 per cento), la Corsica (86,3 per cento). La media del paese è molto alta:  l’80,1 per cento delle famiglie possiede un’automobile. Secondo l’Insee, soltanto il 13 per cento dei parigini utilizza l’auto per andare al lavoro, contro il 38 per cento della piccola corona (i comuni confinanti con Parigi), il 61 per cento della grande corona (i comuni confinanti con la piccola corona) e il 78 per cento della regione rimanente.Come spendono i francesi i propri soldi. Il grafico è del Monde su dati Insee.

Questa lontananza da chi vive in periferia, che come ho scritto più volte in Marat non ha votato Emmanuel Macron al primo turno delle presidenziali del 2017 e non ha alcun motivo per cambiare idea, è vissuta quasi come un vanto da parte della classe dirigente di En Marche!. Benjamin Griveaux, portavoce del governo e probabile candidato macronista al comune di Parigi nel 2020, aveva attaccato Laurent Wauquiez, presidente dei Républicains, accusandolo di volere essere il rappresentante di chi “fuma e guida delle automobili diesel”.

In tutto ciò, e spesso il dato viene sottovalutato, la Francia è uno dei paesi più grandi d’Europa e con minore densità abitativa: 633.208 km², 103 abitanti per km² contro i 302.071 km² e i 197 abitanti per  km² dell’Italia e i 357. 386 km² e i 232 abitanti per km² della Germania. Questo vuol dire che una parte consistente della popolazione vive in comuni piccoli, poco serviti dalla ferrovia (che pure è molto diffusa) e soprattutto lontani dalla grande città più vicina. 

Insomma, l’impressione è che ci siano due paesi che non riescono a comunicare su moltissimi argomenti divisivi (il cambiamento climatico è di certo uno di questi), e il presidente Emmanuel Macron ha scommesso su uno dei due sia durante la campagna elettorale che in questo primo anno e mezzo di mandato. Macron è convinto che sarà sufficiente per essere rieletto e che fare un passo indietro non servirà a convincere chi non lo ha votato e potrebbe addirittura fare innervosire chi oggi continua a sostenerlo. Non aspettiamoci passi indietro dunque, a meno di débâcle alle prossime europee.