di Vasco Loyola

In un contesto di recessione e crescente competizione economica tra gli Stati, l’UE ha sottolineato la necessità di tutelare il tessuto industriale europeo sempre più vulnerabile a fusioni ed acquisizioni straniere. Lo scorso anno, il blocco dell’acquisizione di Alstom da parte di Siemens ha rilanciato il dibattito sul ruolo e gli obiettivi di una politica industriale comunitaria adatta a fronteggiare la competizione globale dei colossi cinesi e statunitensi. In tale contesto, il primato della tutela della concorrenza nell’ambito della politica economica europea è stato più volte messo in discussione dai paesi membri (Francia e Germania in primis). L’attuale crisi pandemica e i suoi gravi effetti in termini occupazionali potrebbero rappresentare una tempesta perfetta per ripensare il bilanciamento tra politica industriale e tutela della concorrenza. Un rinnovato compromesso tra Stato e mercato potrebbe imprimere una svolta cruciale al completamento effettivo del mercato unico europeo.

Negli ultimi anni, l’incompletezza del mercato comune ha accentuato una seria confusione di ruoli all’interno dell’UE che ha impedito una chiara distinzione di competenze tra le varie istituzioni di politica economica, e nella fattispecie, tra la politica industriale e la tutela della concorrenza. La costruzione del mercato interno ha richiesto come requisito indispensabile una soppressione ferrea di tutte le misure potenzialmente discriminatorie al fine di evitare che eventuali cartelli tra imprese, aiuti pubblici o monopoli abusivi impedissero una concorrenza libera e leale tra le imprese e gli Stati. Tuttavia, in un contesto come quello odierno risulta particolarmente difficile per l’UE stabilire con esattezza quali siano gli obiettivi della politica della concorrenza nella misura in cui il suo campo di intervento dipende in larga parte dal posto concesso ad altre politiche, come quella industriale, i cui obiettivi possono essere conflittuali. 

Solitamente, quando si parla di “politica industriale” si intende la strategia di un’autorità pubblica di sviluppare una particolare attività con l’obiettivo di aumentare la competitività dell’economia nazionale. Nel caso in cui lo Stato interviene nell’allocazione delle risorse per sviluppare settori specifici come ad esempio l’industria automobilistica, allora si può parlare di una politica industriale tradizionale anche detta “verticale”. Al contrario, quando lo Stato interviene in maniera trasversale rispetto ai vari settori dell’economia (ad esempio, incentivi alla ricerca e sviluppo delle piccole e medie imprese), si può parlare di una politica industriale “orizzontale”. Negli ultimi anni, il ruolo preponderante svolto dalla politica della concorrenza all’interno dell’UE ha delimitato il perimetro d’azione della politica industriale limitandola a un approccio orizzontale che non prevede un trattamento differenziato per le imprese a seconda del settore di appartenenza. Ciò è dovuto in parte al fatto che il mercato unico e la moneta unica hanno permesso una crescente specializzazione dei Paesi membri con conseguente “verticalizzazione” dell’economia europea.   

La necessità di una politica industriale comunitaria più proattiva e verticale che riesca a guardare oltre il consueto approccio orizzontale è oggetto di dibattito dalla fine degli Novanta. Essa deriva dalla consapevolezza che per far fronte alla competizione globale occorre investire prevalentemente in conoscenza (ricerca e sviluppo, capitale umano, tecnologia dell’informazione). La “strategia di Lisbona” del 2000, trasformata successivamente in “Europa 2020”, si poneva come ultimo fine quello di “trasformare l’Unione nell’economia della conoscenza più competitiva e dinamica al mondo”, con l’obiettivo di portare al 3% del Pil europeo gli investimenti in ricerca e sviluppo del 2010. A distanza di dieci anni, l’UE fatica con un 2% scarso a stare al passo con gli investimenti cinesi e americani. Tuttavia, nonostante un margine di manovra limitato da un bilancio che pesa circa l’1% del Pil ed è dedicato specialmente ad agricoltura e altre politiche di coesione, la Commissione ha cercato negli ultimi anni di dare la precedenza a iniziative settoriali e intersettoriali volte ad accelerare la transizione verso un’economia verde e digitale promuovendo, ove possibile, azioni “verticali” mirate in alcuni settori strategici come ad esempio lo spazio, la difesa e le nuove tecnologie (ICT, fibre di carbonio, biotecnologie e Intelligenza Artificiale). Queste iniziative nascono dalla convinzione profonda che il compito delle classi dirigenti del Vecchio Continente sarà quello di elaborare una politica industriale moderna, coordinata ma soprattutto di ampio respiro che riesca ad assicurare un’autonomia strategica nei settori chiave del futuro.

La Nuova strategia industriale per l’Europa presentata a marzo di quest’anno dalla Presidente Ursula von der Leyen ha individuato alcune forniture critiche per ridurre l’eccessiva dipendenza da attori esterni quali i trasporti, la sicurezza energetica, l’ammodernamento infrastrutturale (con un’enfasi speciale sulle reti di comunicazione 5G) e la modifica delle filiere produttive con conseguente ristrutturazione delle catene del valore. In questo senso, la Commissione ITRE (Industria, Ricerca ed Energia)  ha dato un primo via libera al rapporto sulla politica industriale dell’UE di cui è titolare l’ex ministro Carlo Calenda. Il testo prevede crediti di imposta per le imprese sul modello di Industria 4.0 e più flessibilità negli aiuti di stato ai settori più colpiti dalla crisi pandemica come ad esempio l’aviazione, il turismo, l’acciaio e le industrie metallurgiche. Tra i punti cardine del rapporto vi è anche una revisione delle regole sulla concorrenza e in particolare delle norme per le fusioni al fine di creare aggregati industriali europei (cosiddetti “campioni”) sul modello di Fincantieri con STX France e FCA con PSA. Ciò presuppone un utilizzo lungimirante del piano di ripresa Next Generation EU reso oggi possibile dal nuovo quadro UE sugli aiuti di Stato e da altri strumenti per ricapitalizzare le imprese e rafforzare la cooperazione all’interno dei vari distretti industriali. Infine, il rapporto chiede alla Commissione di elaborare delle misure concrete di difesa industriale contro colossi stranieri che troppo spesso non applicano le stesse regole del gioco e di analizzare minuziosamente come il protezionismo estero impatti le aziende europee. 

L’importanza del mercato comune come volano di trasformazione industriale non sembra concentrarsi esclusivamente sulla resilienza del tessuto socioeconomico europeo. Esso sembra puntare in larga parte alla tutela della sovranità continentale, particolarmente decisiva nell’ambito della sovranità digitale e tecnologica. In questo senso, l’importanza geopolitica di progetti come il cloud “Gaia X”, lanciato bilateralmente da Francia e Germania, avrebbero come obiettivo principale quello di tutelare la sovranità dei dati e di creare un’infrastruttura digitale europea con ecosistema per l’innovazione annesso che aumenti la trasparenza e il richiamo dei servizi digitali. L’iniziativa coinvolgerebbe svariati settori relativi all’industria 4.0 con il supporto di circa 22 aziende franco-tedesche (es. Orange e Siemens) e alcune aziende italiane (es. Tim e Eni). La grande sfida è quella di formare un’alternativa europea credibile ai colossi statunitensi Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) e cinesi come ad esempio Alibaba. Nonostante il progetto sia ancora in fase di definizione, la prima reazione concreta è avvenuta recentemente nell’ambito della politica della concorrenza grazie alle inchieste lanciate dalla commissaria Vestager nei confronti dei Big Tech statunitensi per abuso di posizione dominante. Nel frattempo, il 2 dicembre la Commissione si prepara a varare il Digital Services Act, un pacchetto normativo volto ad assicurare la trasparenza degli algoritmi utilizzati dalle piattaforme per moderare i contenuti e garantire uniformità nelle norme degli Stati membri in materia e nella loro applicazione. Sebbene il quadro generale sia ancora molto incerto, un nuovo compromesso europeo tra politica industriale e legislazione antitrust sembra profilarsi all’orizzonte. Questo è il tempo di decisioni politiche forti che sappiano ponderare e mediare i vari interessi in gioco evitando un’ennesima confusione di ruoli in un momento già assai delicato.