Luana Moresco è la presidente della Fondazione Antonio Megalizzi che porta il nome del giovane giornalista di Europhonica venuto a mancare nel 2018, in seguito all’attentato terroristico di Strasburgo. Tramite la Fondazione Luana, compagna di Antonio, sta rendendo concreto un importante progetto di formazione di cittadinanza europea nelle scuole. Lo racconta in questa intervista a lanuovaeuropa.it.

La Fondazione Antonio Megalizzi è arrivata finalista al Premio del cittadino europeo con il progetto Ambasciatori, ci spieghi di che si tratta e che significa per voi?

Il Parlamento europeo era l’istituzione prediletta di Antonio, che adorava andare a Strasburgo durante le plenarie, inseguiva i parlamentari nei corridoi, cercava di avere delle interviste, li invitava ai programmi di Europhonica. Ricevere un premio così importante e con dei valori così significativi, proprio dal Parlamento europeo, è una grande emozione sia per me e la famiglia di Antonio, sia per tutti i giovani volontari della Fondazione che credono nel progetto Ambasciatori.

 La parola ambasciatore mi piace, qualcuno che possa farsi portatore di un messaggio da un mondo a un altro, tra le istituzioni e la gente comune, come lo reclutate?

Antonio diceva sempre nei tanti momenti di confronto, anche pubblici che ha avuto, che per sentirsi cittadini europei bisogna conoscere l’Unione europea e questa conoscenza si deve fare a scuola. La centralità delle scuole era un tema già molto caro ad Antonio, e dunque con questa idea abbiamo approcciato le scuole. Inizialmente andavamo nelle scuole noi amici e familiari, i docenti che l’hanno conosciuto, poi ci siamo resi conto che l’Italia era grande e dovevamo aumentare il nostro impatto. E nel frattempo abbiamo incontrato tanti ragazzi che, seppur non avendolo conosciuto di persona, sentivano dentro di sé una parte di Antonio e dei suoi valori, e di voler portare avanti il suo messaggio. E quindi abbiamo pensato di creare questo percorso per i neolaureati: tramite una call ne abbiamo selezionati 30, abbiamo dato loro prima una formazione sui contenuti, poi su come si comunica, e infine permettiamo a questi ragazzi di entrare nelle scuole. In questo modo essi restituiscono qualcosa alla comunità dove vivono, a dei ragazzi poco più giovani di loro.

Un circolo virtuoso. Che risposta avete avuto?

Il primo anno abbiamo ricevuto circa 160 candidature da tutta Italia. Ogni ragazzo doveva mandare un curriculum, una lettera di motivazione e un video di presentazione. Il video l’abbiamo lasciato molto ampio, potevano parlare di se stessi, della loro passione europea, di cosa avrebbero voluto fare nelle scuole, a noi interessava vedere come riuscivano a comunicare, come riuscivano a parlare e a coinvolgerci. Ne abbiamo selezionati 30 su tutto il territorio nazionale, 10 per le superiori, 10 per le scuole medie e 10 per le elementari. Li abbiamo formati con 8 incontri per un totale di 30 ore e loro restituiscono tre cicli da 6 ore ciascuno, ognuno di loro andrà almeno in tre classi. Abbiamo predisposto dei veri e propri libri di testo di circa 60 pagine ciascuno: quello per le medie s’intitola Europa tocca a noi, quello le superiori Parliamo d’Europa e alla fine ha delle schede di simulazioni del Parlamento europeo. Per i bambini delle elementari abbiamo ideato una pubblicazione a fumetti, con Antonio protagonista che li guida alla scoperta dell’Unione europea.

È un progetto che va oltre quella che era la quotidianità di Antonio, più propriamente giornalistica: come comunica oggi l’Europa, rispetto a tre anni fa? Secondo te si sono fatti dei passi avanti per avvicinare i cittadini all’Europa?

È una bella domanda. Antonio ne aveva fatto un po’ la sua battaglia di vita, comunicare le istituzioni e avvicinarle ai cittadini. Noi, come Fondazione, cerchiamo di attivare diversi percorsi, di fare buona informazione su tutti i nostri canali, di portare avanti progetti che parlino di buona informazione anche con un’attività di contrasto alle fake news legate al mondo europeo. Credo che le istituzioni abbiano cercato di rafforzare la buona comunicazione, specie in occasione della crisi pandemica, per troppo tempo abbiamo pensato che fare delle cose buone per i cittadini bastasse e non servisse poi comunicarlo e farglielo sapere. Negli ultimi anni vedo un miglioramento in questo senso da parte delle istituzioni, Commissione e Parlamento europeo e naturalmente le Rappresentanze, gli Europe Direct e gli uffici presenti sul territorio, ma naturalmente l’uso del linguaggio istituzionale forse ha meno presa sul pubblico e quindi rimangono dei limiti. Va fatto però un lavoro sui giovani, non si tratta solo di informazione buona e cattiva, ma anche sul linguaggio stesso.

E quindi un’associazione come la nostra La Nuova Europa o come la Fondazione che porta il nome di un ragazzo che era giornalista e comunicatore, cosa può fare per migliorare le cose?

Noi, come anche voi con la Scuola d’Europa, abbiamo la fortuna di entrare a contatto diretto con i ragazzi e vogliamo dunque fare da ponte fra loro e le istituzioni, incoraggiandoli a fare domande e a cercare risposte. Dall’altra parte, si può facilitare la buona informazione attraverso un’attività di formazione molto intensa perché, nel momento in cui conosco l’Unione europea, posso capire se qualcosa è vero o non è vero, se è una fake news, se “è l’Europa che ce lo impone” o se quella decisione è stata presa all’unanimità, dal Parlamento o dal Consiglio, posso capire il metodo decisionale che c’è dietro a quella scelta, dare delle risposte ed esercitare il pensiero critico.

E dunque la parte giornalistica vera e propria la portate avanti con progetti specifici?

Antonio comunicava a tutto tondo, utilizzava ogni canale per comunicare, dall’articolo ai social che usava in maniera molto intelligente, con un linguaggio pop semplice e talvolta molto ironico, e poi ovviamente attraverso il mondo della radio. Noi collaboriamo sempre con i ragazzi di Europhonica, partecipiamo a dei progetti congiunti, al Festival delle Radio universitarie, alle iniziative di RadUni che è anche socio fondatore della Fondazione. Parallelamente, stiamo cercando di offrire ai nostri volontari un piccolo hub dove poter imparare come si scrive un articolo. I nostri ragazzi scrivono o da soli o in coppia, scegliamo insieme i temi, poi c’è sempre un giornalista tesserato che revisiona gli articoli, si sente con i ragazzi e dunque man mano imparano. Poi c’è tutta la parte social su cui facciamo un’intensa attività di comunicazione, per esempio nel periodo Covid-19 abbiamo fatto una campagna di contrasto alle fake news, poi abbiamo una rubrica che si intitola “In una parola” ogni settimana ci si focalizza sull’importanza di una parola e questo aiuta a ridare dignità alle parole e al linguaggio che utilizziamo.

La prossima sfida?

Il progetto Mondo podcast, per mettere al centro giovani che parlino delle possibilità del Next Generation EU anche esponendo i capitoli del PNRR. Con il progetto Ambasciatori vorremmo aggiungere ogni anno un mattoncino in più, e al tempo stesso rafforzare sempre di più la Fondazione: non siamo altro che una scatola che deve offrire delle opportunità, garantire anche il passaggio di testimone tra le giovani generazioni.