di Vasco Loyola

Prima ancora dell’inizio della crisi pandemica, vari studi preconizzavano che la digitalizzazione delle nostre economie e il conseguente sviluppo di competenze digitali su ampia scala avrebbero ridotto significativamente il divario salariale di genere nei luoghi di lavoro, soprattutto in relazione allo sviluppo di carriera e ai compensi percepiti dalle lavoratrici. In questo senso, l’avvento del modello digitale come volano per le pari opportunità avrebbe dovuto consentire una maggiore produttività legata alla flessibilità di un insieme di fattori quali l’orario lavorativo, lo spazio di lavoro e l’allargamento delle conoscenze e delle competenze acquisite nell’arco di un’intera carriera lavorativa. Cosa più  importante, i cambiamenti economici e sociali derivanti da questo nuovo modello avrebbero dovuto ampliare in modo sostanziale l’accesso femminile a quei settori più innovativi, in forte sviluppo e con crescenti opportunità occupazionali e retributive.  

Seppur gran parte di queste previsioni si siano avverate, il divario di genere nelle competenze ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) continua ad essere uno dei maggiori ostacoli ad una partecipazione equa delle donne al mondo del lavoro e, più in generale, all’imminente avvento della società digitale. Secondo quanto emerge dal Women in Digital (WiD) Scoreboard 2020 realizzato dalla Commissione europea, le donne specializzate in ICT in Europa rappresentano solo il 17,7% dell’intero settore. L’indice monitora la partecipazione delle donne all’economia digitale misurando la prestazione dei vari stati membri in tre macro-aree tra cui l’utilizzo di Internet, le capacità legate all’uso di Internet e infine le competenze specialistiche e i livelli occupazionali. La valutazione avviene grazie all’impiego di 12 parametri ben precisi come ad esempio la percentuale di donne laureate nelle cosiddette aree STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) o la quota di donne che frequentano corsi e adoperano servizi pubblici online.

Nel complesso, lo studio ha rilevato che il divario tra i sessi si è ristretto notevolmente in UE negli ultimi dieci anni, passando dal 7% al 2% di utenti Internet (84% donne contro 86% uomini) che si collegano online almeno una volta a settimana. Ciononostante, il 56% delle donne europee possiede ancora competenze digitali di base contro il 60% degli uomini. Allo stesso modo, solamente il 31% delle donne europee ha competenze avanzate contro il 36% degli uomini. Tra i paesi al di sopra della media UE (18%) che conducono la classifica vi sono la Finlandia, la Svezia, la Danimarca, l’Olanda e il Lussemburgo. L’Italia, al venticinquesimo posto tra i paesi europei, è di circa tre punti percentuali al di sotto della media UE davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria. Nel Belpaese, il gap di genere è ancora più accentuato con solo il 14,8% degli specialisti ICT di sesso femminile, il 72% di donne utenti Internet (contro il 76% di uomini) e infine un preoccupante 19% di donne che non hanno mai adoperato alcun servizio digitale (contro il 10% di uomini).

Alla luce di questi dati raccolti dalla Commissione, le donne sembrano meno interessate al settore digitale, che si tratti di formazione superiore, lavoro o attività imprenditoriale. Tuttavia, il divario di genere rimane netto, non tanto in relazione alle competenze minime di base, ma soprattutto sul piano dell’accesso all’istruzione universitaria, dell’occupazione, della retribuzione paritaria, degli sviluppi di carriera e dello svolgimento di funzioni apicali. Ad esempio, le laureate in materie STEM in UE sono il 14,3% contro il 26,3% degli uomini. A tal proposito, il WiD Scoreboard 2020 avverte che solo 24 laureate su 1000 hanno studiato una materia correlata alle ICT e di queste solo 6 proseguono la carriera nel settore digitale registrando un netto degrado della situazione rispetto al 2011. Nell’insieme, lo studio dimostra che se più donne entrassero nel mercato del lavoro digitale si potrebbe creare un aumento annuo del Pil europeo di circa 16 miliardi di euro.

Il rapporto tra le donne e il settore ICT è un tema complesso. Ciononostante, lo scenario che emerge dal WiD Scoreboard 2020 ha effetti negativi non solo sulle donne ma sull’intero sistema economico e produttivo causando la perdita di talento, risorse e ricchezza con gravi conseguenze sulla capacità di innovazione e sulla competitività dell’UE. Per cominciare a risolvere i molteplici problemi fin qui evidenziati, si ritiene che occorra un approccio necessariamente olistico basato su interventi coordinati che riescano a investire principalmente la sfera educativa e formativa. Da una parte, le istituzioni competenti dovrebbero incentivare, tramite interventi mirati, la partecipazione delle donne allo studio delle STEM o quantomeno a una formazione digitale di base. Dall’altra, occorre l’adozione tempestiva di politiche legislative e sociali adatte a favorire la parità di genere tramite servizi per l’infanzia garantiti, congedi parentali, adeguata flessibilità degli orari e degli spazi di lavoro.

Con il prossimo Digital Europe Programme, ovvero lo strumento del nuovo quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, l’UE intende rispondere alla sfida digitale tramite alcune aree prioritarie di intervento quali il supercalcolo (infrastruttura di dati ad ampio raggio), l’intelligenza artificiale, la sicurezza informatica e lo sviluppo di competenze digitali avanzate. L’accordo provvisorio raggiunto tra Consiglio e Parlamento, che dovrebbe entrare in vigore dal primo gennaio 2021, prevede un budget di circa 7,5 miliardi di euro, con una riduzione di circa 2 miliardi rispetto alla proposta iniziale della Commissione. Seppure non si possa far a meno di riconoscere la portata storica di questo pacchetto di misure, il sospetto è che i fondi stanziati non siano sufficienti a colmare la disparità di genere nell’ICT per favorire il talento delle donne europee e cogliere a pieno il potenziale di competenze del continente. Nel frattempo, non ci resta che attendere l’approvazione formale dell’accordo da parte del Parlamento e del Consiglio.

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