La rivoluzione digitale ha consegnato a poche grandissime imprese un potere privato così vasto e penetrante da mettere in discussione il potere pubblico e la sua auctoritas sovrana che, da Hobbes in poi, è stata concepita per frenare i privati che minaccino di imporre una eteronomia non legittimata. La tentacolare oligarchia degli arcana imperii digitali, fatta di algoritmi inaccessibili, di profilazione e sorveglianza digitale di miliardi di utenti più o meno consapevoli, ha messo a repentaglio i grandi capisaldi dell’Occidente: la demarcazione tra Stato e società, la vitalità di una democrazia che non sia solo virtuale, la promozione di mercati concorrenziali. Col rischio di consegnare società, mercati e democrazia a una cyberutopia distopica. La riscossa dei poteri pubblici, cui stiamo assistendo in questo campo in Europa e negli Stati Uniti, rappresenta la riscoperta della sovranità capace di adattarsi a una sfida, quella lanciata nel cyberspazio dalle grandi piattaforme digitali, che sembrava vederla perdente. Questa la sofisticata analisi condotta da Stefano Mannoni, studioso dei temi della regolazione, Antitrust e tecnologie, docente di Storia del Diritto e Diritto della comunicazione all’Università di Firenze, e da Guido Stazi, responsabile del Comitato valutazioni economiche dell’Antitrust nel saggio Sovranità.com (Editoriale Scientifica, pp.270), per la non più rinviabile necessità di regole nel mercato dei grandi monopoli digitali.