Siamo andati a dormire nella notte dell’euro convinti che tutti i mali fossero a Berlino. E dopo sei anni ci svegliamo consapevoli che la Germania di Angela Merkel è diventata un bastione alle insicurezze del mondo e al ritorno dei nazionalismi. Soprattutto dopo il successo degli euroscettici di destra di Alternative fur Deutschland, divenuto terzo partito.
L’esito delle urne di domenica, dove la cancelliera ha vinto le consultazioni per un quarto leggendario quanto difficile mandato (Cdu-Csu 33,2%), è così solo un pretesto per capire se ci si può fidare di un’Europa a trazione tedesca, se le colpe teutoniche delle due guerre mondiali – in tutto 10 milioni di morti immolati sull’altare del nazionalismo prima e del nazismo poi, almeno tre crolli economici e tre rinascite – sono state assimilate, facendo finalmente archiviare il Novecento con tutto il suo carico di storia e tragedie immani. Dobbiamo, tutti noi europei, comprendere se ‘’Merkiavelli’’, questa Angela venuta dal nulla e diventata ‘’tutto’’, come recitavano i manifesti elettorali della Cdu, può essere considerata una leader stellata ancor più che tedesca. Ancora più oggi, quando dovrà cercare di formare un governo con Liberali (10,1%) e Verdi (9,3%).
Il nomignolo che gira tra i suoi detrattori, la assimila ancora oggi a quel genio tutto italiano capace di piegare i mezzi al proprio fine, nella guerra come nella politica, utilizzando la tattica al posto della ragione, diventando un giorno flessibile (sì a tutti i migranti siriani) e un altro rigida (stop alle frontiere); un giorno possibilista sulla fine della crisi (il destino è nelle nostre mani) e un altro decisamente contraria (serve un ministro delle Finanze unico che faccia rigare dritto i meridionali); un giorno Mutti, in versione Madre Teresa di Calcutta, come il Der Spiegel la effigiò, un altro nazi sul Partenone, leader della Troika anti sprechi ellenici.
Merkel dovrà fare a meno della Spd, che, sprofondata al 20%, ha detto però che resterà all’opposizione.

Ora dovrà far quadrare i conto di un governo con nuovi alleati, isolare la spinta dell’ultra destra di Alternative fur Deutschland, pericolosamente per la prima volta in parlamento, e soprattutto fare i conti con il futuro. In un quadro prospero in cui la disoccupazione praticamente non c’è e anche i giovani l’hanno preferita a Martin Shulz, l’uomo debole della Spd, la donna venuta dalla Ddr dovrà trovare da qui al terzo decennio risorse per quasi 1.000 miliardi di euro.
A tanto ammonta il costo delle tre cambialo sul futuro tedesco che lei stessa ha firmato. La prima per oltre 500 miliardi di euro, come stimano gli istituti più accreditati, è quella legata all’addio al nucleare che se confermato comporterà una gigantesca conversione energetica. La seconda cambiale sono invece i circa 300 miliardi di nuovo debito concesso nel 2015 alla Grecia che prima o poi peserà nelle casse federali come un impatto per altri 50 miliardi avrà l’apertura delle frontiere al milione di profughi arrivato nei lander due anni fa. A questo si aggiungono i costi di importanti interventi di manutenzione delle infrastrutture, anche in Germania bisognose di importanti ammodernamenti per anno, pari a 200 miliardi di euro nei prossimi dieci anni e il conto è completo.
Non sarà facile ma Angela ha dalla sua la capacità di essere flessibile nelle curve politiche nazionali e rigida nei tornanti della storia.
Insomma Merkel regge ma la Germania e forse l’Europa da stasera sono più a destra.