Se la straziante vicenda di Giulio Regeni e l’ultima – altrettanto complicata- di Patrick Zaki, hanno per mesi fatto dubitare dell’efficienza dell’apparato diplomatico italiano, la notizia di Ikram Nazih finalmente libera fa acquisire a tutti un po’ di fiducia e speranza.

La studentessa italo-marocchina era stata condannata a 3 anni e a pagare una multa di 50000 dirham (circa 4800 euro) dopo una denuncia per blasfemia da parte di un’associazione religiosa marocchina che avrebbe segnalato alle autorità di Rabat un post condiviso dalla ragazza su Facebook – per soli 15 minuti e poi cancellato – in cui trasformava la sura 108 del Corano, ovvero la sura dell’Abbondanza, in sura del whisky. Dopo l’udienza tenutasi il 23 agosto, il tribunale di appello di Marrakech ha ridotto la condanna a due mesi (già scontati), con sospensione della pena e multa annullata. L’impostazione efficace della difesa è stata la chiave di svolta della vicenda: Ikram, nata e cresciuta in Italia, non aveva reale consapevolezza di quanto quel gioco di parole potesse infrangere le leggi marocchine. La 23enne italo-marocchina, studente di giurisprudenza a Marsiglia, è infatti nata a Vimercate (MB) nel 1998 e ha vissuto a lungo con la sua famiglia a Mozzo, in provincia di Bergamo. Lo scorso 19 giugno era atterrata in Marocco per far visita ad alcuni suoi familiari (stesso epilogo del caso Zaki) per poi essere immediatamente fermata dalle autorità marocchine.

«Una sentenza che va nel segno anche in memoria di un grande rapporto tra i due Paesi, di rispetto reciproco, di rapporti istituzionali e di buon clima tra i due popoli. Una vicenda che si chiude nel miglior modo possibile soprattutto per una ragazza di 23 anni che potrà tornare a sorridere», commenta Vincenzo Amendola, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei.

«È stato fatto un buon lavoro come sistema Paese», un lavoro congiunto tra l’Ambasciata italiana in Marocco, la Farnesina e il Console generale di Casablanca, sin dalle ore successive all’arresto, «dal momento in cui le ragioni della difesa erano abbastanza chiare e di fatto sono state riconosciute in appello anche con una velocità di tempi molto positiva», conclude il sottosegretario.

Grande soddisfazione espressa, inoltre, dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e da alcuni deputati che avevano presentato interrogazioni parlamentari sulla vicenda. «Questa notizia mi riempie di gioia, oggi è una vittoria per i diritti umani, ora avanti anche per Patrick Zaki. Non ci possiamo fermare», ha commentato Yana Chiara Ehm, deputata del gruppo misto.

L’eccellente lavoro di diplomazia svolto in questo caso, con un Paese apparentemente amico al pari dell’Egitto di Al-Sisi  – una lettura attenta comprende quanto in Marocco siamo di fronte ad una democrazia, mentre nel secondo caso ad un regime autoritario – funge da alibi per molti a conferma dei numerosi interessi che si celano dietro il rapporto tra Roma e il Cairo e che da quasi 600 giorni fanno di Patrick un vero e proprio prigioniero politico, figlio di un rapporto unilaterale ben lontano dalla logica del do ut des.

È pur vero che una rondine non fa primavera, ma al tempo stesso la speranza comune è che la tenacia messa in campo per la liberazione di Ikram Nzihi venga replicata per lo studente dell’Alma Mater di Bologna, Patrick Zaki, detenuto al carcere di Tora in Egitto da 18 lunghi mesi, ingiustamente e in condizioni disumane.