Cosa sarebbe successo se Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non fossero stati uccisi dalla Mafia? È difficile dirlo perché l’Italia del 1992 è davvero tanto lontana da quella del 2017. Perché quella fu la stagione delle stragi, del tritolo, della paura. Ma anche del sussulto, dell’orgoglio, della primavera siciliana.
“Chi non ha paura di morire, muore una sola volta” amavano ripetere i due magistrati. Consapevoli quasi di un destino segnato. Grazie al loro sacrificio e a quello degli uomini della scorta, il nostro Paese cambiò. Iniziò la stagione dei sindaci eletti direttamente dei cittadini, della società civile impegnata nella gestione della res pubblica. Massimo Cacciari a Venezia, Marco Formentini a Milano, Valentino Castellani a Torino, Adriano Sansa a Genova, Riccardo Illy a Trieste. C’era voglia di riconoscersi nella
bandiera della legalità, di non cadere nel burrone del malcontento e della paura, in quell’Italia di più di vent’anni fa. Fu una stagione intensa ma comunque troppo breve perché i professionisti della politica piano piano ritornarono in sella.
Allora successe quello che sarebbe accaduto molti anni dopo nel nostro Paese quando nel novembre del 2011 eravamo ad un passo dal crack finanziario. I partiti politici fecero un passo indietro e arrivò Mario Monti con tanto di copertina sul Time che si chiedeva se questo uomo fosse in grado di salvare l’Europa e di conseguenza l’Italia dal default.
Forse è un segno del destino che il nostro Paese riesce a dare il meglio di sé proprio quando sta in difficoltà. Però è anche vero che la memoria è sempre troppo corta. Ci si ricorda di Falcone e Borsellino e degli altri caduti per volontà della Mafia solo durante le ricorrenze che certamente servono ma allo stesso tempo riempiono di mestizia chi ha un minimo senso di amor patrio.
Ecco perché il loro sacrificio è stato comunque utile perché come dice un vecchio adagio cinese “ciò che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”. E se Falcone fosse diventato, come sperava e come forse gli sarebbe stato dovuto, capo della Procura Nazionale Antimafia con Borsellino procuratore capo a Palermo, forse avremmo un’Italia più garantista e meno giustizialista.
Perché ad ucciderli non è stato solo il tritolo della Mafia. Contro Falcone ci fu un vero e proprio pattume di altri magistrati ed editorialisti che arrivarono a dire che le bombe – come nel caso dello scampato attentato dell’Addaura nel 1989 – se le fosse messo da solo. E Borsellino in quei 53 giorni che lo separano dalla strage annunciata di via d’Amelio era un morto che camminava. Tutti ne erano consapevoli ma nessuno ne modificò il destino. Chi poteva fare qualcosa e non mosse un dito era il bruco che pensava che con l’eliminazione dei due magistrati sarebbe stata la fine del mondo (o almeno di quel mondo che lottava per la legalità) e non si accorse invece che il loro sacrificio nella memoria collettiva è diventato una splendida farfalla che non ha paura di volare.