Mercoledì 2 aprile, il Parlamento europeo ha approvato tramite una risoluzione la relazione sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC). In uno dei passaggi chiave del documento, l’Eurocamera ha espresso il proprio sostegno al piano ReArm Europe in cinque punti, presentato il 4 marzo 2025 dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
La risoluzione è passata con una maggioranza risicata: 303 voti favorevoli, 289 contrari e 62 astensioni.
Tuttavia, restano molte incognite e perplessità sul fatto che nuovi stanziamenti e iniziative in questa direzione possano davvero garantire all’Europa una reale autonomia in ambito difensivo. Sarà necessario agire con tempestività, mentre la linea politica sembra tracciata ai vertici delle istituzioni, a fronte di una cittadinanza europea ancora divisa sul tema.
Spesa folle o legittima difesa?
800 miliardi di euro. Una cifra – quella annunciata per finanziare il Piano – usata da chi è critico e vorrebbe che questi soldi venissero spesi in altro ma anche da chi apprezza la manovra sottolineandone la portata storica ma che al momento è in massima parte ancora ipotetica in quanto mero risultato di una previsione quadriennale dei funzionari della Commissione. L’unico aspetto già solido e concreto è il prestito da 150 miliardi del programma SAFE (Security action for Europe).
Il piano approvato dai Capi di Stato e di governo dei 27 paesi dell’UE durante una serie di riunioni del Consiglio Europeo a Bruxelles, a dispetto di divisioni interne a gruppi, partiti e coalizioni, gode ad oggi dell’appoggio politico della maggioranza dell’Europarlamento anche se per lavorarci e procedere rapidamente la Commissione si è avvalsa dell’articolo 122 del TFUE.
Il piano di riarmo peraltro è legato a doppio filo alla definizione del rinnovo del supporto dei Paesi UE all’Ucraina. La richiesta di validare un ulteriore sostegno a Kiev non è passata all’unanimità trovando il voto contrario del leader ungherese Viktor Orbán, che punterebbe a risolvere la guerra il più rapidamente possibile, senza preoccuparsi di cosa accadrebbe dopo.
Si è arrivati così ad un comunicato del Consiglio che parla di “pace attraverso la forza”, del sostegno militare e di garanzie di sicurezza. Si dice anche che “qualsiasi tregua o cessate il fuoco si può compiere solo come parte di un processo che porti a un accordo di pace esaustivo”. Priorità che si pongono in linea di continuità con quelle dello stesso presidente Zelensky: “Gli ucraini vogliono la pace, ma non al costo di rinunciare all’Ucraina, […]. La vera domanda di ogni negoziato è se la Russia è capace di rinunciare alla guerra”.
I famosi cinque punti
Il piano del riarmo si articola in cinque punti e ha come obiettivo il rafforzamento della difesa europea e una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti e dalla NATO. Gli Stati sono d’accordo sul portarlo avanti, ma forse non sul come. Mentre si discute sul dove trovare i finanziamenti emerge ad esempio la domanda sul dove trovare le armi.
Bruxelles vuole consentire agli Stati membri di aumentare la spesa annua per quattro anni nel settore della difesa senza incorrere in sanzioni per deficit eccessivo (attualmente non può essere superiore al 3%); investimenti che non verranno conteggiati ai fini del patto di stabilità.
La Commissione ha detto inoltre che concederà 150 miliardi di euro in prestiti Eurobond a lungo termine (con tasso di interesse vantaggioso), quindi come nuovo debito comune come fu per il Recovery Fund lanciato durante il periodo Covid. L’obiettivo sono gli acquisti di armamenti e la realizzazione di progetti congiunti condivisi da almeno due governi nel tentativo di rendere più comunitari settori chiave come difesa aerea, droni, mobilità militare e sicurezza informatica. Altro tema chiave è evitare programmi di difesa che risultino “doppio” o troppo similari, come anche l’acquisto di dispositivi non compatibili tra loro e dunque non utili alla creazione di una vera difesa comune.
Nel tentativo di reperire soldi in tempi rapidi si valuterà come permettere agli Stati di destinare parte dei Fondi di coesione per la spesa militare (tra cui quelli destinati alle regioni) con incentivi specifici per chi sceglie quest’opzione. Inoltre, la Bei (Banca europea per gli investimenti) dovrebbe ampliare il suo raggio d’azione garantendo sostegno finanziario ai progetti legati alla difesa e mirando anche a coinvolgere investitori privati nei mercati interni dell’UE.
La Commissione ha stimato che nel complesso potranno essere fatte maggiori spese per circa 250 miliardi all’anno, ma ci vorrà tempo prima che i governi possano definire un piano di investimenti, che la Commissione stessa dovrà poi autorizzare.
Dipendenza dagli USA
Il tema della difesa è infatti balzato in cima alla lista delle priorità per quasi tutti i leader europei in seguito alle mosse della drastica politica imprenditoriale messa in atto dal presidente Trump nei confronti dell’Ucraina che potrebbe portare gli Stati Uniti a non essere più un alleato affidabile e l’Europa a rivedere la propria strategia e a difendersi da sola. Specialmente dopo il riavvicinamento con la Russia di Putin, Trump ha lasciato più volte intendere di voler ridimensionare l’impegno di Washington nel Vecchio Continente.
In tre anni di guerra alle proprie porte l’Europa non è stata in grado di articolare un discorso di pace efficace e di farsi coinvolgere nelle mediazioni russo-ucraine, non essendo un interlocutore gradito a Mosca. L’UE si è data come obiettivo la sconfitta militare della Russia e il riarmo si inserisce in una visione che va in questa direzione.
L’articolo di Europe’s air of Dependance del 27 febbraio sottolinea la dipendenza europea dagli Stati Uniti per capacità strategiche di cui non possiamo fare a meno, mettendo in evidenza una vulnerabilità dell’Europa senza supporto statunitense in settori chiave come la logistica, l’attività di monitoraggio, decrittazione e analisi di comunicazioni radio, telefoniche, di rete o di alcuni tipi di segnali elettromagnetici. Un esempio su tutti: mancano intercettatori a lungo raggio per contrastare missili balistici russi che ad oggi solo i Patriot Usa riescono a contrastare efficacemente. Anche la difesa marittima si appoggia alle portaerei e ai sistemi Usa. L’Europa è carente di munizioni avanzate e lo stesso vale per droni e capacità cyber: non ne siamo sprovvisti, ma sono insufficienti senza supporto americano.
Se l’Europa vuole cambiare questa situazione sarà necessario non soltanto aumentare gli investimenti nella difesa, ma anche sviluppare un proprio complesso militare industriale, cosa che potrebbe richiedere anni se non decenni come più volte sottolineato nelle pagine di riviste come il Financial Times.
Gli animi degli europei
“L’Europa deve cominciare a ragionare con la consapevolezza di condividere lo stesso destino, come una sola nazione, fatta dai popoli che la compongono, che si riconoscono uniti pur nella diversità”. Comincia così la lettera di Marco Nicolò Perinelli, giornalista e sindaco trentino, sulle pagine de L’Adige. Un invito tra i tanti a reagire con la forza dell’unità, trovando la coesione necessaria a maggior ragione nelle crisi comuni perché un’Europa unita e democratica rimane l’unica speranza.
Su questa scia arriva anche il pensiero del giornalista Alessandro Sahebi che sostiene che una posizione di pacifica inerzia non sia più realistica, anche se questo non significa per forza aderire a spinte guerrafondaie.
Questo riflette gli umori del nostro Paese. Secondo un sondaggio pubblicato da Youtrend per SkyTG24 gli italiani hanno posizioni diverse sull’aumento delle spese per il riarmo. Sarebbero infatti in egual misura favorevoli e contrari all’aumento delle spese per la difesa, ma con differenze interne che riguardano non solo i partiti di opposizione ma anche quelli di maggioranza.
Tra i contrari, ci sono soprattutto i sostenitori del Movimento Cinque Stelle. Il sondaggio suggerisce anche che la maggioranza, il 41% degli italiani, è contraria all’invio di soldati italiani in Ucraina, a meno che non si tratti di una missione di pace a guida ONU (soluzione esclusa dalla Russia).
Italia, debiti e fondi di coesione
Questa corsa agli investimenti nei comparti della difesa rischia di mettere in secondo piano altre politiche e sostituire altri settori produttivi che non stanno andando bene. Le risorse finanziarie assegnate all’Italia nell’ambito delle politiche di coesione per il ciclo 2021-2027, ammontano complessivamente a 140,8 miliardi di euro, ma l’Italia è contraria a dirottare tali fondi sulla difesa, ha spiegato la presidente del Consiglio.
La proposta è perciò quella di fare più debito nazionale e comunitario per una difesa comune europea e sostenere l’Ucraina. Per l’Italia si tratterebbe di 30 miliardi supplementari (ricorrenti su base annua) per la difesa che andrebbero a formare debito e che poi dovranno essere rimborsati. Scenario accolto positivamente dall’esecutivo mostrando però preoccupazioni per la formazione di ulteriore debito. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito che, se anche le regole europee ora consentono di fare maggiore debito senza incorrere nelle sanzioni normalmente previste per chi non rispetta i margini, c’è comunque da tenere in considerazione il giudizio dei mercati finanziari che sarebbero meno incoraggiati a puntare sull’Italia per le loro attività commerciali o imprenditoriali e a comprare titoli di Stato alle condizioni attuali.
Meloni si è inoltre mostrata scettica sulle reali possibilità che l’Europa riesca a rendersi indipendente dagli Stati Uniti sul piano militare. Escludendo la possibilità che vengano schierate truppe italiane, ha insistito affinché l’articolo 5 della NATO venga esteso all’Ucraina anche senza che il paese faccia parte dell’Alleanza. L’Articolo 5, lo ricordiamo, è quello secondo cui un attacco armato contro un paese membro deve essere considerato come un attacco diretto contro tutte le parti.