di Gianvito Brunetti

Il dibattito pubblico europeo è dominato da questioni di natura economica, con un’attenzione particolare alla crescita, al debito pubblico e alla competitività rispetto alle altre superpotenze globali. Interventi di personalità influenti, come l’ex governatore della BCE Mario Draghi, hanno contribuito a mantenere il focus sulla stabilità economica dell’Unione. Tuttavia, il tema della democrazia, pur essendo un pilastro fondante della storia e dei valori degli Stati europei, è stato per lungo tempo relegato a una posizione secondaria. A causa dell’evoluzione del contesto geopolitico internazionale e dell’insediamento della nuova presidenza statunitense, però, sulla questione democratica si aprono nuovi fronti d’incertezza. Il commento di Barbara Pisciotta, professoressa ordinaria di Politica Internazionale, Processi di democratizzazione e Democrazia e digitalizzazione dell’Università Roma Tre.

Casi limite e democratic backsliding

La forma di governo di uno Stato ha sempre rappresentato un elemento chiave nella gestione della cosa pubblica e dei cittadini. Gli Stati occidentali, e in particolare l’Europa, hanno sviluppato nel corso dei secoli un modello democratico che si è affermato come principio cardine del sistema legislativo. Ciononostante, la democrazia non è un concetto immutabile: è un modello in continua evoluzione, adattabile ai contesti storici di riferimento.

L’Unione Europea, sorta proprio dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, ha progressivamente assunto un ruolo attivo e di primo piano nella promozione della democrazia su scala globale e, in particolar modo, nei paesi dell’Europa orientale. “Il ruolo dell’Unione Europea nei paesi dell’Europa dell’Est è stato fondamentale, soprattutto negli anni ’90 a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica – ha affermato la professoressa Pisciotta – Ciò è stato possibile grazie al meccanismo della cosiddetta ‘condizionalità’, che ha rappresentato il principale strumento di influenza dell’UE”, ovvero l’imposizione di criteri d’adesione come quelli stabiliti nel 1993 a Copenaghen.

Tuttavia, nel tempo sono emerse diverse criticità. Stati membri come Polonia, Ungheria e Romania hanno mostrato segni di regressione rispetto a quei principi.

In particolare, dal 2010 ad oggi l’Ungheria ha subito un processo che la classifica come un regime ibrido, il primo caso mai registrato nel continente dalla nascita dell’UE. Sotto il governo di Viktor Orbán e del partito Fidesz, il paese ha progressivamente ridotto l’indipendenza del sistema giudiziario, limitato il pluralismo mediatico e ristretto lo spazio di azione della società civile, configurando un processo di democratic backsliding.

Tale involuzione ha portato alla riclassificazione dell’Ungheria come “democrazia parziale” da parte di organizzazioni internazionali come Freedom House e ha sollevato un acceso dibattito sul rispetto dei valori fondamentali sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Tuttavia, nonostante le crescenti tensioni con le istituzioni comunitarie e l’attivazione di meccanismi di condizionalità sui fondi europei, il governo ungherese continua a interloquire e far pesare la sua voce in Europa. “Il contenzioso tra Bruxelles e Budapest rimane aperto – commenta la prof.ssa – e il futuro della democrazia ungherese dipenderà più dalle dinamiche politiche interne che dall’azione delle istituzioni”.

Una dinamica simile si era già verificata in Polonia, che “però è riuscita a risolvere i suoi problemi politici”. Il panorama politico polacco, a differenza di quello ungherese, è rimasto altamente competitivo e caratterizzato da una forte mobilitazione sociale e politica, come dimostrato dalle elezioni parlamentari del 2023 che hanno portato al ritorno di Donald Tusk al potere e a un conseguente processo di allineamento democratico.

Diverso, ma “altrettanto preoccupante”, è l’esperienza della Romania. Nel Paese, infatti, sono state registrate irregolarità a causa di possibili interferenze russe al punto da decretare necessaria la sospensione della tornata elettorale. Tale scelta si inserisce in un contesto più ampio di sfide alla governance democratica, dove la commistione tra potere politico ed economico, insieme a un sistema giudiziario non sempre indipendente, continua a rappresentare un ostacolo a una piena democratizzazione.

Questo trittico pone in risalto un vero e proprio dilemma per l’Unione. L’attivazione dell’Articolo 7 TUE rappresenta lo strumento più incisivo che l’Unione Europea ha a disposizione per affrontare casi di democratic backsliding negli Stati membri. Questo meccanismo consente di adottare misure contro un paese che viola i valori fondamentali dell’UE, fino alla possibile sospensione del diritto di voto nel Consiglio. Tuttavia, la sua efficacia è ridotta dal fatto che per arrivare alla sospensione dei diritti di uno Stato membro è necessaria l’unanimità degli altri governi, il che lo rende di fatto inapplicabile se più paesi illiberali si sostengono a vicenda, come è accaduto nel caso di Polonia e Ungheria. Inoltre, la sua attivazione è un processo lungo e complesso, che spesso si scontra con la lentezza della burocrazia europea. Non di meno, sebbene possa isolare politicamente un governo, potrebbe anche rafforzare la sua narrativa nazionalista, aumentando il consenso interno a favore di una posizione euroscettica.

Il peso dei movimenti populisti

Negli ultimi anni, il sistema democratico occidentale è stato messo alla prova dall’ascesa di movimenti populisti, che hanno sfidato le strutture politiche tradizionali: “Purtroppo, il panorama globale mostra un trend negativo: negli ultimi dieci anni, il numero di democrazie che si sono indebolite è stato superiore a quello delle democrazie emergenti”. Uno dei momenti chiave per questa trasformazione è stato la crisi economica del 2008, che ha alimentato una diffusa insoddisfazione nei confronti delle élite politiche ed economiche.

“Nel caso italiano, la crisi del 2008 ha certamente contribuito all’ascesa e al primo successo del Movimento 5 Stelle. La Lega, invece, ha una storia politica più lunga e un percorso differente. Tuttavia, la diffusione di un certo tipo di partito, che inizialmente mancava in Italia, è stata sicuramente influenzata dalla crisi economica”.

Negli Stati Uniti, la qualità democratica ha mostrato segnali di deterioramento già prima del 2008, ma la crisi economica ha accelerato il processo. La recente rielezione di Donald Trump nel 2024 ha riacceso il dibattito sulla solidità della democrazia americana e sul ruolo del populismo nella politica globale. Questo evento ha avuto conseguenze anche in Europa, dove si è registrato un rafforzamento di leader populisti come Giorgia Meloni e Marine Le Pen, con conseguenti cambiamenti nelle politiche e nelle alleanze dell’UE.

Un altro aspetto rilevante della nuova presidenza statunitense è la crescente influenza di figure non tradizionalmente politiche nella gestione del governo. In primis il ruolo di Elon Musk, che, pur non ricoprendo una posizione ufficiale, opera come “impiegato governativo speciale” e guida il Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE). La sua agenda, volta a ridurre il deficit federale, solleva questioni cruciali sul coinvolgimento degli imprenditori nel governo e sulle possibili implicazioni per la governance democratica.

Il margine di tutela democratica

La guerra in Ucraina e la crescente instabilità nei rapporti transatlantici impongono all’Unione Europea una riflessione sulla propria identità politica e istituzionale. Come evidenziato in ultima istanza dalla professoressa Pisciotta, l’UE non può più permettersi di essere un’entità frammentata ma deve rafforzare la propria coesione interna e accelerare l’integrazione politica per rispondere con efficacia alle sfide globali.

La necessità di una politica estera e di difesa comune si fa sempre più pressante, anche alla luce delle difficoltà nel mantenere un equilibrio tra autonomia strategica e dipendenza dagli Stati Uniti. Il futuro dell’UE dipenderà dalla capacità di bilanciare la stabilità interna con la promozione della democrazia nei paesi dell’Est. In questo contesto, l’adozione di nuove politiche di condizionalità e un rafforzamento dello Stato di diritto saranno strumenti fondamentali per preservare il ruolo dell’Europa come baluardo democratico nel mondo contemporaneo.