Costituzione europea e difesa comune

All’indomani del progetto “ReArm Europe”, recentemente proposto dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il dibattito sulla Costituzione europea si pone ancor più come necessario. Mobilitare circa 800 miliardi di euro, di cui si è parlato, per rafforzare la difesa degli Stati membri dell’Unione non è certo la stessa cosa di riprendere un percorso costituzionale, come quello immaginato dallo stesso Alcide De Gasperi con il fallito trattato CED sulla Comunità Europea di Difesa e rafforzare la via federale sia pure intesa come processo continuo in progress.

Il piano “ReArm Europe”, al di là dell’infelice scelta del termine “riarmo”, sembra muoversi più in una direzione “antica”, di rafforzamento delle Nazioni sia pure all’interno della cornice dell’Europa, che in quella invece federativa dell’Europa.

Il piano, in tal senso, non poteva non suscitare dibattiti accesi in tutta Europa, mettendo in luce divisioni sia tra gli Stati membri sia all’interno dei singoli governi e sinanche talora all’interno di uno stesso partito politico. Da sempre, infatti, sin dai tempi almeno del fallito Trattato CED per la Comunità europea di difesa, la creazione di una difesa comune europea è stata chiave di lettura assai significativa della diversa visione di Europa unita presente nel passato, e ancora oggi, tra i diversi Stati europei e principali attori politici all’interno degli stessi.

La direzione del Piano certamente si presta a letture differenti, ma appare comunque essere distante dall’idea dell’europeismo federalista, non solo sottostante a uno dei documenti simbolo dell’Europa unita come il Manifesto di Ventotene, redatto, come noto, durante la Seconda Guerra Mondiale da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ma anche a ogni prospettiva di un reale intensificarsi del processo di integrazione secondo un modello non prevalentemente intergovernativo.

I Padri nobili dell’Europa unita, in tal senso, e in verità ancor prima di Ventotene, se si pensa ad esempio già solo a Luigi Einaudi, che ne scriveva con lo pseudonimo Junius sul Corriere della Sera all’indomani della Prima guerra mondiale, avevano chiara la prospettiva, non importa se da posizioni socialiste o liberali, della necessità di superare i pericolosi nazionalismi che avevano condotto ai conflitti mondiali

In questa prospettiva, l’Europa unita dei Trattati di Parigi e di Roma, alla base delle tre prime comunità europee, erano passi importanti, ma non decisivi e finali – fondandosi principalmente attraverso lo strumento delle “comunità economiche”, di settore, come nel caso del carbone e dell’acciaio o dell’energia atomica, e generali con il mercato comune europeo – per la creazione di una più ampia realizzazione di un’integrazione che fosse anche pienamente politica e sociale, basata su valori di libertà e unità, pace e democrazia nella cooperazione tra i popoli.

Il principale tassello mancante nella direzione di un’integrazione effettivamente politica era rappresentato da un percorso genuinamente costituzionale, che era proprio quello presupposto dal fallito trattato sulla Comunità Europea di Difesa, volto non solo a creare un esercito europeo comune, ma anche istituzioni legittimate al relativo comando.

Alcide De Gasperi fu, peraltro, uno dei principali sostenitori della Comunità Europea di Difesa e del suo carattere costituente, vedendola come un passo decisivo verso una federazione europea. La difesa comune nella visione di De Gasperi era vista come un tassello fondamentale per l’integrazione europea, perché nella CED non vi era solo un accordo militare, ma un vero progetto politico e istituzionale. La creazione di un esercito europeo sovranazionale era infatti funzionale, nel progetto, a una difesa comune affidata a istituzioni europee, superando la logica delle sovranità statali. In tal senso, la stessa storica preoccupazione di un riarmo della Germania sarebbe avvenuta all’interno di una struttura europea controllata, evitando così il ritorno ai nazionalismi alla base dei conflitti mondiali.

Il tema non era, e non dovrebbe essere ancor più oggi, la creazione di una semplice alleanza militare, ma un’Europa militarmente unita perché costituzionalmente integrata. Si sarebbe dato infatti un governo politico alla difesa comune e l’Italia di De Gasperi fu, sin dall’inizio, molto attiva per raggiungere l’obiettivo del Trattato, che fu ratificato dall’Italia, ma che invece fallì a causa del rifiuto francese di ratifica. 

Il Piano di riarmo di cui si discute oggi è tutt’altra cosa.

La stessa adesione al piano da parte di leader come Viktor Orbán, noto per le sue posizioni nazionaliste e critiche nei confronti dell’integrazione europea, solleva interrogativi sulla direzione che l’UE sta decidendo di prendere con il Piano.

Il rischio evidente è che l’accettazione del piano potrebbe essere segno chiaro, al di là di qualche dichiarazione di facciata, della volontà di accantonare l’obiettivo, caro a Padri dell’integrazione politica europea, di una federazione autenticamente unita e solidale.

Eppure, la creazione di una politica estera e di sicurezza comune, supportata da un esercito europeo integrato, e relativa catena democratica di comando nel quadro di un progetto costituente come quello immaginato sin dai tempi della CED, avrebbe potuto rafforzare l’autonomia strategica dell’UE e la sua capacità di rispondere in modo non subalterno alle crisi internazionali. Un approccio collettivo alla difesa garantirebbe, infatti, una maggiore coerenza nelle azioni dell’Unione, riducendo l’attuale estrema frammentazione, che diventa debolezza, delle politiche nazionali in materia di sicurezza e difesa comune.

Ciò però non dovrebbe aversi all’infuori della realizzazione di un’autentica Costituzione europea, che rappresenta una delle principali lacune nel processo di integrazione dell’UE. 

L’adozione di una Costituzione europea è il reale presupposto per fornire una base non solo giuridica per la creazione di una politica di difesa comune e per l’istituzione di un esercito europeo ed evitare il ritorno al predominio completo degli Stati nazione senza potersi avere alcuna visione unitaria dell’Europa e della difesa dei suoi interessi nello scacchiere globale. 

Che cos’è una Costituzione nella sua essenza

Per rispondere ora alla domanda quale Costituzione è necessaria per l’Europa o se l’Europa possa invece dire di avere già una Costituzione, occorre chiarire, su di un piano generale, cosa sia una Costituzione e, prim’ancora, come già si è cercato di ragionare, a quale Europa unita si fa riferimento.

La Costituzione, in senso moderno, svolge una fondamentale funzione di limite al potere politico, ma non solo, e di garanzia delle minoranze. Essa è la risultante dell’esercizio del potere costituente. In Italia, come noto, la Costituzione è stata approvata nel 1947 dall’Assemblea costituente, eletta il 2 giugno del 1946, per la prima volta con un suffragio universale riconosciuto anche alle donne.

La Costituzione esprime un patto tra forze politiche anche tra di loro distanti, che si riconoscono però in un progetto comune rivolto alle generazioni future, ponendosi così norme giuridiche sovraordinate a tutte le altre. In questo senso, la Costituzione esprime l’identità di un popolo, una koiné comune, molto diversa però da quella dei vecchi Stati Nazione. Finché, pur nella pluralità delle posizioni politiche, ci si riconosce nel Patto fondamentale, la Costituzione è viva. Altrimenti entra in crisi.

Negli Stati democratici del secondo dopoguerra è lo stesso valore e principio supremo del pluralismo e di tutela della persona in quanto tale, e nelle sue differenze, a configurare il nucleo assiologico fondante il nuovo ordinamento costituzionale. Libertà ed eguaglianza costituiscono un’endiadi: in entrambi i valori, che assurgono a principi supremi intangibili, ogni forza politica si deve riconoscere.

La Costituzione scritta delle democrazie pluraliste ha un significato che va oltre il suo riferimento etimologico alle fonti del diritto (constitutiones principum) e al suo stesso assetto organizzativo (il rem publicam constituere). Essa esprime un nucleo irretrattabile di diritti inviolabili, che si impongono a tutte le forme di potere pubblico, persino allo stesso potere di revisione della Costituzione, che potrà essere esercitato solo nell’ambito di limiti procedurali e sostanziali precostituiti.

Le Costituzioni si pongono sempre quali “manifestazioni” della storia, frutto di una rottura con il passato, in cui si elaborano le regole di un nuovo ordine.

Il passato, su cui il nuovo ordine sovranazionale europeo di fatto nasce con i suoi Trattati istitutivi, è costituito fondamentalmente dalla volontà, dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale, di porre freno ai nazionalismi e alla stessa sovranità statale, individuando un nuovo “comune” livello di governo, che sia comunque espressione dei governi e dei popoli dei singoli Stati e ne realizzi insieme gli interessi.

 

L’origine e il significato costituzionale dell’Europa unita

Il temperamento della sovranità statale è la rivoluzionaria idea di fondo alla base del pensiero di chi ha immaginato “un’Europa libera e unita”, collegata alla realizzazione di un ideale di pace contro il “dogma” della sovranità dello Stato, come espresso già, si è detto, nel pensiero di Luigi Einaudi.

È importante ricordare le radici ideali sia di Spinelli e Rossi sia di Einaudi, padri nobili di un’Europa unita, lontana da venire, per ricordare sempre che il mercato comune è “solo” uno strumento per un percorso più ambizioso. Ciò sarà espresso, in modo esemplare, nella famosa Dichiarazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950, in cui la creazione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio viene chiaramente definita come “prima tappa della Federazione europea”.

A quella prima tappa ne sono succedute tante altre, alcune riuscite, altre fallite, che hanno comunque, nel tempo, rafforzato il processo di integrazione. Ancora oggi però si dubita che tali tappe possano essere lette nell’ambito di un percorso costituente, accompagnato da piena garanzia di momenti adeguati di partecipazione democratica, nell’ambito segnato dall’esito di una vera “Costituzione”. Eppure, le European clause, nel prevedere limitazioni di sovranità degli Stati a favore dell’Europa, hanno di fatto rafforzato la sovranità degli stessi Stati di fronte ad uno scenario globale, che sovrasta Stati e Costituzioni nazionali.

Si è creato così in Europa un livello “sovranazionale” che è anche, sia pure in modo non del tutto compiuto, “costituzionale”, non solo con fonti sulla produzione di norme giuridiche vincolanti e con effetti diretti, ma anche con Carte dei diritti, a partire dalla Carta dei diritti dell’Unione europea, che viene ricordata come “Carta di Nizza”, perché lì adottata il 7 dicembre 2000 e che ha acquistato lo stesso valore vincolante dei Trattati istitutivi.

Si ha un diritto europeo prevalente sui diritti statali. È evidente però che tale nuovo ordinamento deve sapere rispondere alle esigenze più profonde del costituzionalismo delle democrazie pluraliste, mettendo altrimenti in crisi le radici più profonde del modello stesso.

 

Quale Costituzione e per quale Europa unita

La Costituzione europea non può che delinearsi in tale problematico quadro, sinteticamente ricordato.

Non vi è dubbio che il diritto europeo rappresenti una fonte del diritto capace di imporsi al diritto dei singoli Stati membri dell’Unione. Non vi è dubbio che il diritto europeo realizzi una complessa organizzazione sovranazionale con precipui rapporti intercorrenti tra organi e istituzioni europee e tra di essi e gli Stati membri. Ma il fatto è che, come detto, non basta ricordare forza e contenuti peculiari del diritto dei Trattati, che hanno portato a delineare le Comunità, prima, e l’Unione europea, poi, per potersi qualificare pienamente come costituzionale l’ordinamento europeo. Occorre potervi individuare gli elementi essenziali delle Costituzioni delle democrazie pluraliste. E acquistano, in tal senso, rilievo fondamentale non solo i contenuti del nuovo ordinamento, ma anche le forme, gli elementi di partecipazione democratica predisposti – o ancora mancanti – in un tale ordinamento.

La vera questione centrale, a livello europeo, è quella di una sovranità democratica condivisa, di una sovranità meno “schmittiana” e non per questo meno forte, ovverosia della derivazione e titolarità popolare di tale sovranità e di una esperienza costituente nelle forme di una democrazia pienamente rappresentativa. Se questo non si realizza, al di là di ogni apparente rafforzamento dell’Unione, padroni dell’Europa restano gli Stati, che semmai utilizzeranno l’Europa come utile alibi, cui addossare responsabilità in realtà proprie.

Una strada perseguita, ma poi fallita, è stata quella di dotare l’Europa, apertis verbis e senza infingimenti lessicali, di una Costituzione. Si tratta della vicenda relativa al Trattato che istitui(va) una Costituzione per l’Europa, che pure, nell’ambito di un percorso irto di difficoltà e non esente da limiti, presentava punti di svolta importanti e cercava di assicurare forme di partecipazione e condivisione attraverso il ricorso alla “Convenzione”.

Il metodo convenzionale, pur aprendo a forme significative di partecipazione, segnava la forma di un percorso costituente, anche se ancora lontano dalla elezione di un’assemblea costituente, direttamente scelta dai cittadini europei, o anche, in misura minore, di una qualche codecisione costituente tra i rappresentanti del Parlamento europeo e degli Stati nazionali, al fine di rendere più partecipi il popolo e i popoli d’Europa.

Il fallimento del Trattato costituzionale, a seguito in particolare del referendum francese, avvenuto dopo importanti, e forse precipitosi, allargamenti a Est dell’Unione, ha segnato un punto di crisi non tanto sui contenuti del processo di integrazione europeo, se si pensa che gli stessi vengono sostanzialmente trasposti nel successivo Trattato di Lisbona, quanto sulle forme del processo, meno partecipato dal basso e dunque non qualificabile quale ricorso popolare all’esercizio del “potere costituente”.

L’elaborazione stessa di un diritto costituzionale europeo, a differenza del diritto amministrativo che ha svolto una funzione trainante nel processo di integrazione, risulta difficoltosa per una parte della stessa dottrina di settore, per una molteplicità di argomenti, di indubbio rilievo, ma che possono forse essere confutati.

La principale difficoltà si collega alla mancanza o, meglio, alla debolezza, di un reale “spazio politico europeo”, che sia distinto da quello degli Stati nazionali, che tengono pur legittimamente in sostanziale “ostaggio” il processo d’integrazione. Se gli Stati non esprimo élite politiche che vadano nella direzione di trovare a livello sovranazionale europeo la nuova sede di rappresentanza degli interessi politici generali, ogni progetto di un’Europa politicamente unita in modo autentico è destinato a fallire. Va criticata la tesi dell’inapplicabilità – in base a una certa impostazione ideale, che oggi viene ripresa a livello politico dai cosiddetti sovranisti, che da destra invero ripropongono critiche che erano state anche di una dottrina massimalista di sinistra – delle categorie stesse del diritto costituzionale all’Europa di fronte alla globalizzazione, alla presunta assenza di demos, ai significati classici di cittadinanza e soprattutto di sovranità, non ancora declinabili nei loro idealtipi nell’Europa unita, ma in realtà in crisi all’interno della stessa vecchia casa dello Stato Nazione.

A ben vedere, la globalizzazione presenta rischi e opportunità, ma è priva di progetto, mentre è proprio l’Europa unita, e non certo lo Stato singolo, a conservare ancora qualche strumento per cercare di governare o almeno indirizzare i processi globali, che i singoli Stati non possono fare altro che subire.

Ed è proprio la globalizzazione, più che l’Unione europea, a spostare l’asse della sede delle decisioni politiche, a cui gli Stati possono invece concorrere ancora solo grazie alla partecipazione a un unicum tra le organizzazioni sovranazionali, come l’Unione.

E, così, porre “limite al potere”, che è essenza stessa della Costituzione, di soggetti privati che si pongono al di sopra degli Stati, come nel caso delle big tech, è cosa che solo l’Europa politicamente unita, e non certo il singolo Stato, può pensare di fare a tutela dei diritti dei singoli e della sicurezza comune e della stessa concorrenza in settori dove altrimenti agiranno società private con poteri non arginabili da parte degli Stati singoli. Se poi addirittura la stessa sicurezza a livello satellitare, fondamentale per avere informazioni e potere operare sul campo militare, sono in mano a tali soggetti privati il discorso davvero si fa paradossale per la realizzazione di una reale, autonoma difesa.

Appare quindi insensato richiamarsi alla sovranità nazionale, che diverrebbe per paradosso il “baluardo” per difendersi dall’Europa, vista quasi come una camicia di forza dei popoli, e non come casa di pace, che consente la convivenza pacifica e il benessere comune nell’inveramento stesso, in un’ottica certo di riforme non tutte ancora realizzate, dei valori costituzionali nel mutato scenario globale.

Per altro verso, poi, si può ricordare come la democrazia viva oggi momenti di necessaria trans-nazionalizzazione, rispetto ai quali l’Unione europea esprime un modello certamente imperfetto, soprattutto sul piano della trasparenza dei processi decisionali e di uno squilibrato rapporto tra politica e mercato, tra diritto e economia, ma comunque rappresenta un processo notevolmente avanzato che ci consente di gestire e non subire i processi nei nuovi equilibri transnazionali che resta nella sua essenza democratico, pur nel combinato disposto dei metodi intergovernativo e comunitario.

Se non esiste in senso pieno e compiuto un popolo europeo, esiste quella koiné che è l’essenza di una Costituzione, un’identità comune di un laboratorio per una democrazia fatta da più popoli.

Studi convincenti ci dicono che non si può parlare di unicità del demos neppure a livello statale. Perché la stessa si dovrebbe pretendere a livello europeo, quando l’Europa unita nasce proprio per rispettare le differenze e assicurare ai popoli d’Europa benessere e pace?

Demos è oggi, a qualunque livello, un’identità plurale e su questo ancora una volta l’Europa rappresenta un modello, nonostante la crisi, già realizzato, che ci siamo conquistati con il dolore, le sofferenze e i morti della Seconda guerra mondiale.

Per la stessa nozione di cittadinanza che, come noto, è uno status giuridico privilegiato nel rapporto con lo Stato da cui scaturiscono diritti e doveri, è proprio l’Europa che può avere un ruolo fondamentale nel rilanciare una cittadinanza forte fatta di doveri e diritti, anche in campo sociale, che dia senso di appartenenza e che si basi quindi più sulla dignità del cittadino, nel senso pieno e politico del termine, e meno sulla qualità di consumatore di un mercato unico.

In definitiva, pur in assenza di adozione di un atto espressamente denominato come “Costituzione” e, al di là della questione stessa del nomen, occorre riprendere con determinazione la “questione costituzionale europea”.

Come viene sempre più spesso sottolineato, la Costituzione europea emerge nel quadro di un sistema costituzionale multilivello, che è al contempo di diritto scritto e di diritto non scritto, che si va progressivamente realizzando sul piano giurisprudenziale grazie al fondamentale contributo svolto dalla Corte di giustizia e della “rete”, al contempo, delle Carte e delle Corti costituzionali statali ed europee.

La rete delle Carte costituzionali e dei diritti e delle “Corti dell’integrazione” costituisce il vero perno di uno jus costituzionale europeo, che, in tal senso, si trova in mezzo al guado tra le Costituzioni scritte e non scritte.

In definitiva, pur in assenza di un originario esercizio di potere costituente, almeno classicamente inteso, l’ordinamento europeo ha un’evidente, innegabile dimensione costituzionale, che però presenta indiscutibili peculiarità ed elementi di criticità e per questo si presta a letture ancora incerte.

Occorre anche ricordare la portata che i diritti sociali e l’eguaglianza, anche in senso sostanziale, al di là del mero principio di non discriminazione, hanno nelle Costituzioni del secondo dopoguerra e conservano nel costituzionalismo della crisi. Quando il mercato da “mezzo” per l’integrazione politica diviene esso stesso il fine del processo d’integrazione si aprono scenari che rischiano di impattare su alcuni capisaldi considerati acquisiti al costituzionalismo del secondo dopoguerra. L’Europa deve tornare a prendere coscienza del fatto che essa nasceva proprio dal fallimento del sistema di mercato, che non era riuscito a garantire un’esistenza dignitosa al maggior numero di persone e, anzi, aveva provocato terribili conflitti in Europa e nel mondo. 

L’identità costituzionale europea, che vive nel confronto, assai delicato, tra unità e pluralità, come da motto della stessa Unione, si trova dinanzi a tanti difficili banchi di prova: dalla Brexit, al Covid e future possibili pandemie, dal tema dei migranti alla crisi dei debiti sovrani, dal conflitto russo-ucraino alla collocazione europea nello scenario mediorientale rispetto alla questione palestinese. Non occorre dimenticare che un’Europa che sia patria di diritti e democrazia richiede tante cose e anche una vera politica estera e una politica di sicurezza comune che non possono realmente reggersi l’una senza l’altra. Quale politica estera, infatti, senza sicurezza (ed esercito) comune? Basta ricordare ancora una volta Alcide De Gasperi e l’articolo 38, da lui voluto, del trattato CED sulla Comunità Europea di Difesa, segnando quello forse il momento del passato in cui si fu più vicini a un’Europa sostanzialmente federale. Occorre finalmente vincere questa sfida e le altre sfide decisive sul piano dell’elaborazione di una piena Costituzione europea.

Oggi, è ancor più difficile parlare di questo. Ma questo è ciò che è esattamente necessario almeno per chi vuole portare a compimento il processo dell’integrazione politica e sociale europea che, nel quadro delineato, dovrà e potrà essere anche militare e di difesa di interessi realmente comuni, senza tornare ai nazionalismi conflittuali, semmai illudendosi di tenerli a bada in un’Unione di Nazioni, destinata invece ad andare in frantumi o, al più, a meramente sopravvivere quale voce irrilevante nel nuovo equilibrio mondiale che sembra delinearsi all’orizzonte.

Non è un caso che il compianto presidente Franco Frattini, già Ministro degli Affari esteri e Vicepresidente della Commissione europea, scelse il titolo “Politica estera e sicurezza: due pilastri per gli Stati Uniti d’Europa” per la lectio magistralis di chiusura della IV edizione della Conferenza e Summer school dell’Associazione Per l’Europa di Ventotene, tenuta sull’isola del famoso manifesto federalista all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina.

Senza un quadro costituzionale chiaro, pienamente democratico, le decisioni in materia di politica estera e di difesa non possono che rimanere sostanziale prerogativa degli Stati membri, rendendo così difficile una risposta unitaria alle sfide globali e lasciando l’Europa debole e in posizione di sostanziale irrilevanza anche di fronte a crisi nel proprio stesso continente, come dimostra per l’appunto l’attuale direzione della crisi in Ucraina, in cui Russia e Stati Uniti decidono le sorti della regione, se non della stessa Europa.

 

 

 

Andrea Patroni Griffi, costituzionalista, è dal 2019 Direttore del CIRB, Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica. Ha conseguito il dottorato di ricerca nell’Università di Roma La Sapienza ed è stato, a inizio carriera, ricercatore a contratto Aristoteles nell’Università di Parigi 1. Ordinario di Diritto Costituzionale e pubblico, è visiting professor nel 2024 nelle università di Toulouse Capitole e Paris Sorbonne. Condirettore della Rivista scientifica Rassegna di Diritto pubblico europeo, ha curato, tra l’altro, i volumi Studi sulla Costituzione europea. Percorsi e ipotesi, E pluribus unum: le identità in Europa,  Next Generation EU e PNRR: il futuro dell’Europa e del MezzogiornoEuropa e migrazioni: la sfida per il futuro dell’Unione. È Presidente dell’associazione Per l’Europa di Ventotene, fondata con colleghi di varie università italiane e europee, che organizza ogni anno una Conferenza internazionale e Summer school a Ventotene su diversi temi costituzionalistici nella prospettiva del processo di integrazione europeo.