Sono tante le notizie che passano inosservate. Alcune però sono molto più importanti della maggior parte delle informazioni che ci piovono addosso a flusso continuo. Tra quelle ingiustamente neglette, un posto di rilievo lo occupa sicuramente la proposta del budget pluriennale dell’Unione europea. Ossia, i fondi con i quali le istituzioni di Bruxelles dovrebbero finanziare tutte le loro future attività dal 2028 al 2034.

Non appena la proposta è stata presentata dalla Commissione europea il 16 luglio, i governi degli Stati membri si sono affrettati a ricoprirla di critiche. Il principale motivo di opposizione è la richiesta di maggiori fondi. A mio avviso due sono le considerazioni da sollevare.

La prima, riguarda l’entità dei fondi. L’Unione dispone di un bilancio quasi simbolico. Poco più dell’1% della somma dei PIL di tutti gli Stati membri, ossia circa 180 miliardi all’anno. Per fare un raffronto, il bilancio federale USA ammonta a circa il 30% del PIL, mentre la spesa pubblica italiana si avvicina al 50%. Si aggiunga poi, che quasi il 70% del budget europeo torna direttamente nei paesi membri per finanziare la politica agricola e quella regionale. A rimanere sono circa 50 miliardi di euro, ossia più o meno il corrispettivo del bilancio annuale della sola regione Lombardia.

Ora nella proposta della Commissione si chiede di aggiungere circa 8 miliardi all’anno per 7 anni. Sono troppi?

Per fare un raffronto, basti ricordare che i 23 paesi della UE che fanno parte della NATO, nel vertice dell’Aia del giugno scorso hanno ribadito l’impegno di innalzare le spese destinate direttamente alla difesa al 3,5%; il che corrisponde ad un finanziamento aggiuntivo totale di tutti i paesi della UE di circa 295 miliardi all’anno.

Questi pochi dati penso siano sufficienti a chiarire l’incongruenza di fondo. Da un lato abbiamo l’Unione, dalla quale ci aspettiamo la soluzione delle crisi ambientali, di quelle economiche e sociali, senza dimenticare l’agricoltura e lo sviluppo delle aree povere, nonché la gestione delle migrazioni, e di un’altra ventina di problemi, tra cui pure il sostegno all’Ucraina e le sanzioni alla Russia. Dall’altro lato abbiamo la NATO, che ha come unico scopo il proteggerci da minacce esterne. Nonostante l’evidente sbilanciamento dei compiti: come è giustificabile che gli Stati non siano disposti ad affidare 8 miliardi in più alla UE, mentre ritengono accettabile aumentare di circa 295 miliardi all’anno il sostegno finanziario alla NATO?

La seconda e forse più rilevante considerazione ha a che fare con il generale disinteresse con il quale sia i media sia l’opinione pubblica hanno accolto la proposta. Sì, è vero che l’atto presentato dalla Commissione von der Leyen è solo il primo passo di una procedura decisionale che si protrarrà per circa due anni. Però è la base di partenza del dibattito. Dibattito che non c’è e che invece dovrebbe essere centrale non solo nel mondo della politica, ma anche tra noi cittadini.

Già, perché penso che ormai appaia evidente a chiunque tratti il tema senza essere accecato dal pregiudizio antieuropeo, che l’Unione per dimensioni e potenzialità è l’unico ente che abbiamo a disposizione per affrontare seriamente macro-tematiche globali. E questa consapevolezza, salvo rarissime eccezioni, è pubblicamente condivisa dai leader di ogni Stato membro della UE; a partire da Giorgia Meloni, che in numerose dichiarazioni ha confermato di contare sull’Unione per avere peso specifico nel contesto internazionale.

Ma come si fa a non cogliere la contraddizione che c’è tra l’affermare che la UE è indispensabile e poi negargli le risorse minime per rendere credibili i suoi interventi?

La Cina, pur avendo un PIL equivalente a quello della UE e contando una popolazione che è il triplo di quella europea, nel giro di un decennio è diventata leader nella produzione di pannelli solari, auto elettriche ed ha coperto buona parte del suo vasto territorio di colonnine di rifornimento per veicoli elettrici. Che è esattamente ciò che ci eravamo impegnati a fare noi europei nel 2019 con il Green Deal, con tutti i governi nazionali d’accordo. Perché non abbiamo praticamente neppure iniziato a muoverci in questa direzione? La spiegazione è che i grandi investimenti necessari per la transizione verde non sono stati concessi alla UE e gli Stati si sono guardati bene dal metterli a disposizione.

Giovanni Falcone, in riferimento alla mafia sosteneva che per capire come combatterla bisognava “seguire i soldi”. Per capire il motivo dell’inefficacia dell’azione della UE bisogna fare lo stesso, ma percorrendo il percorso inverso: perché non arrivano i soldi?

 

 

 

 

*professore ordinario di diritto dell’Unione europea nell’Università di Perugia