Comincia a prendere una brutta piega l’affare Russiagate che coinvolge il presidente americano Donald Trump che ha ammesso di essere sotto inchiesta. La notizia era uscita grazie a uno scoop del Washington Post, lo stesso giornale che portò alla luce lo scandalo Watergate, che cita dirigenti coperti dall’anonimato.

“Il procuratore speciale (Robert Mueller, ndr) che guida l’inchiesta sul ruolo della Russia nelle elezioni del 2016 interrogherà alti dirigenti dell’intelligence come parte di una più ampia indagine che ora include l’esame dell’ipotesi se Donald Trump ha tentato di ostruire la giustizia”, scrive il WP. Secondo cinque fonti informate sui fatti, il capo della National intelligence Daniel Coats, il direttore della Nsa Mike Rogers e il suo ex vice Richard Ledgett hanno concordato di essere sentiti nei prossimi giorni da Mueller. Immediata la reazione di Marc Kasowitz, l’avvocato privato che difende il presidente nel Russiagate: “la fuga di notizie dell’Fbi riguardanti il presidente è scandalosa, ingiustificabile e illegale”, ha commentato Marko Corallo, un suo portavoce. Coats, Rogers e Ledgett appariranno volontariamente ma non si sa ancora se descriveranno completamente le loro conversazioni con Trump o se il presidente userà il suo privilegio esecutivo per mantenerle segrete.

Durante il Watergate, la Corte Suprema stabilì che i dirigenti non possono usare tale privilegio per bloccare prove in indagini criminali: non è chiaro però se questo precedente possa ripetersi. L’ipotesi di ostruzione alla giustizia è emersa dopo che Trump ha licenziato a sorpresa l’allora capo dell’Fbi James Comey, che indagava sul Russiagate, che successivamente, durante una sua deposizione al Senato proprio sul caso, ha accusato il presidente Usa di avergli fatto pressioni per far cadere l’indagine sul suo ex consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn. Il presidente ha contestato questa versione, definendo Comey un bugiardo e si è detto pronto a testimoniare sotto giuramento. Nella loro audizione pubblica al Senato entrambi i capi dell’intelligence hanno negato di aver mai subito pressioni da Trump, ma hanno anche precisato di non voler svelare il contenuto delle conversazioni col presidente.

Il caso è ancora controverso e la cautela deve essere massima, ma la pressione sembra salire su un presidente che non è amato dall’establishment e che si è trovato a remare subito controcorrente per inesperienza e per le sue scelte di rottura, dai muri col Messico alla disdetta dei vari trattati commerciali fino all’uscita dall’accordo sul clima di Parigi.

Di certo il Washington Post non darà tregua a Trump ma non è affatto detto che la storia si ripeta.

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