In molti si stanno esercitando, non ultimi economisti autorevoli come Francesco Giavazzi e Gianni Alesina sul Corriere della Sera, nel cercare di trarre una morale dalle lezioni della crisi scoppiata dieci anni fa. Più o meno sappiamo tutti come è andata.
L’emorragia di liquidità delle banche anglosassoni più importanti del pianeta fu scaricata sui clienti che avevano comprato una casa senza avere sufficienti garanzie. Il cane si mangiò presto la coda e fallirono clienti e banche, finché il tesoro americano, dopo il crack della Lehman Brothers (ma in realtà negli Usa fallirono un altro centinaio di piccoli e medi istituti di credito) decise di nazionalizzare e di far fondere tra loro i big della finanza. La cosa non bastò a evitare il contagio nel Vecchio Continente, dove le filiali inglesi di Wall Street trasmisero il virus. Anche in Europa dunque si intervenne dal 2008 con massicci iniezioni di capitali pubblici nelle banche. Ma questo non fu sufficiente, perché ormai i paesi, a differenza degli Stati Uniti, non avevano più la sovranità monetaria del ‘900, ovvero la semplice capacità di stampare denaro alla bisogna, estrema ratio che conoscevano già gli antichi romani quando coniavano sesterzi per abbattere l’onere delle guerre. La crisi bancaria si scaricò per questo motivo sui titoli di Stato spagnoli, greci, portoghesi e in ultimo italiani, perché i mercati finanziari sapevano che le risorse degli stati europei non erano più illimitate. Ci salvò l’intervento risoluto della Banca Centrale Europea, che prima aprì un paracadute per i bond sovrani in caduta e poi avviò un piano di riacquisto dei titoli pubblici, il famoso quantitative easing. Ma soprattutto agì con vero spirito unitario in un mercato ancora stracolmo di diffidenze e nazionalismi.
In pratica nell’Unione si è fatta la stessa cosa che in America ma un po’ in ritardo e in mancanza di un regista che dirigesse le operazioni. Da qui la maggiore difficoltà di ripartire dell’economia continentale, i milioni di disoccupati, la dittatura dello spread (la differenza tra il costo del debito in Germania e negli altri paesi) la Grexit e gli svariati salvataggi bancari. Senza dimenticare i numerosi cambi di governo dettati dall’emergenza e non dagli esiti delle urne. Silvio Berlusconi ne sa qualcosa come nove milioni di greci.

Si poteva fare meglio? Senz’altro, ma solo con regole e architetture comunitarie diverse che ancora mancano. Una banca centrale prestatrice di ultima istanza, in soldoni libera di acquistare titoli di stato europei da un ministero del tesoro unico europeo; una Commissione il cui presidente sia eletto dal popolo; un Parlamento con maggiori poteri legislativi; una Costituzione europea che sancisca diritti e doveri delle banche come delle persone. Fin quando non si faranno queste quattro cose e si arriverà davvero a un’Europa federale saremo sempre meno protetti dalle crisi dei nostri amici americani. Che nel lontano 1795 hanno costruito le basi della più potente nazione del mondo su tre principi granitici quali una moneta, un esercito, un unico debito. E’ questa la lezione della crisi del 2007: rileggersi i libri di storia.

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