di Amanda Taub (tradotto dal New York Times da Laura Sommella) 

Un’altra crisi pubblica della salute: i dati dimostrano che l’abuso domestico sta scoppiando nelle condizioni dovute alla pandemia. “C’era ogni ragione per credere che le restrizioni imposte per limitare la diffusione del virus avrebbero avuto un taleeffetto”, ha detto Marianne Hester,  sociologa all’Università di Bristol in Inghilterra, che studia le relazioni di abuso. “La violenza domestica si intensifica quando le famiglie passano più tempo insieme, come nelle vacanze”. 

Adesso, con tutte le famiglie del mondo  in quarantena, le linee di assistenza telefonica diretta si stanno intasando con i report di abuso, lasciando ai governi la responsabilità di una crisi che gli esperti dicono avrebbero dovuto prevedere. 

Le Nazioni Unite hanno espresso questa settimana l’urgenza di agire per combattere il problema mondiale della violenza domestica. “Chiamo tutti i governi a dare la priorità alla sicurezza delle donne, rispondendo loro della pandemia”, ha scritto il segretario generale Antònio Guterres su Twitter. Ma i governi hanno fallito profondamente a prepararsi, le nuove misure di sicurezza della salute pubblica creerebbero per gli abusatori l’opportunità di terrorizzare le vittime. Ora, molti stanno lottando per offrire servizi a coloro che sono a rischio. Ma, come con la risposta del virus stesso, i ritardi ci indicano che già irreparabili danni potrebbero essere stati fatti. 

“IL TERRORISMO INTIMO”

Dalla chiusura delle città in Cina, Lele,  una donna di 26 anni, si è ritrovata a discutere più volte con suo marito, con il quale era costretta a passare tutta la giornata  nella loro casa nella provincia di Anhui, nell’ est della Cina. 

Il 1 marzo, mentre Lele teneva in braccio sua figlia di 11 mesi, suo marito ha iniziato a picchiarla con un seggiolone. Non è sicura di quante volte lui l’abbia colpita. Ad un certo punto, dice, una delle sue gambe ha perso la sensibilità ed è caduta a terra, con ancora la bambina in braccio. Una fotografia che ha fatto dopo l’episodio mostra il seggiolone a terra in pezzi, una delle due gambe rotta –prova della violenza e forza con cui il marito gliel’ha lanciato addosso. Un’altra foto riporta le ferite di Lele: quasi ogni centimetro della parte inferiore della gamba era ricoperto di lividi, un enorme ematoma sul suo polpaccio sinistro. Lele-il suo nome intero non è utilizzato per la sua sicurezza- ha detto che suo marito la violenta dall’inizio della loro relazione, sei anni fa, ma con l’emergenza del coronavirus, le cose sono peggiorate ancor di più. “Durante l’epidemia, non potevamo uscire, e i nostri conflitti son diventati sempre più grandi e frequenti”, ha detto. “tutto era esposto”. Avendo la quarantena effetti in tutto il mondo, quel “terrorismo intimo” –un termine che molti esperti preferiscono a violenza domestica- sta scoppiando. In Cina, un gruppo non governativo di Beijing, dedicato a combattere la violenza contro le donne, Equality, ha avuto un’ondata di chiamate dall’inizio di febbraio, da quando il governo ha chiuso le città nella provincia di Hubei, il focolaio dell’epidemia. 

In Spagna, il numero di emergenza per le violenze domestiche ha ricevuto il 18% di chiamate in più nelle prime due settimane di chiusura rispetto ad un mese prima, durante lo stesso periodo. “Stiamo ricevendo chiamate angoscianti che ci dimostrano quanto il maltrattamento psicologico e fisico può intensificarsi quando due persone si ritrovano nello stesso spazio per 24 h”, dice Ana Bella, che ha messo su una fondazione per aiutare altre donne, dopo aver sopravvissuto alla  violenza domestica. 

Giovedì scorso, la polizia francese ha riportato un picco nazionale di violenza domestica del 30%. Cristophe Castaner, ministro dell’Interno francese, ha chiesto ai poliziotti di stare in vedetta sulla questione. “il rischio aumenta a causa del confinamento” ha detto in un’intervista sulla televisione francese. 

NESSUNA VIA D’USCITA 

In Spagna, con l’aiuto di associazioni di donne, il New York Times ha contattato donne rinchiuse a casa con mariti o compagni violenti, intervistandole via Whatsapp. Una di loro, Ana –che ha chiesto di tenere nascosto il suo nome- condivide l’appartemento con il suo partner, il quale abusa regolarmente di lei. Esige la sorveglianza 24 ore su 24. Se lei si chiude da sola in una stanza, lui batte sulla porta fino a quando lei non la apre. “Non posso avere privacy nemmeno in bagno e adesso devo resistere a questo in quarantena”, scrive in un messaggio inviato di notte fonda, per nascondere la comunicazione da suo marito.

Judith Lewis Herman, un esperto del trauma all’ University Medical School di Havard ha scoperto che i metodi coercitivi che gli abusatori domestici usano per controllare i figli e i partner “avere un’inquietante somiglianza” con l’uso dei rapitori di controllare gli ostaggi e quello dei governi repressivi di imprigionare gli oppositori politici. “i metodi che consentono ad un essere umano di controllare un altro sono incredibilmente consistenti”, ha scritto in un articolo di un giornale del 1992,citato più volte. “Mentre i colpevoli di sfruttamento politico e sessuale organizzato utilizzano metodi coercitivi, gli abusatori domestici sembrano reinventarli”. Oltre alla violenza fisica, che non è presente in ogni relazione di abuso, gli strumenti comuni dell’abuso includono l’isolamento dagli amici, dalla famiglia, la disoccupazione; sorveglianza continua; regole rigide e dettagliate sul comportamento; restrizioni sull’accesso a beni di necessità primaria come il cibo, i vestiti, servizi igienici. Il confinamento, nonostante sia fondamentale per la lotta contro il virus, sta dando più potere agli abusatori , dice la dottoressa Hester. “II fatto che le persone debbano stare improvvisamente a casa gli dà l’opportunità di comandare. Di dire cosa lei deve e non deve fare”. L’isolamento ha anche frantumato i supporti dei networks, rendendo ancor più difficile per le vittime di scappare o chiedere aiuto.  

RISORSE SOMMERSE

Dopo che suo marito l’ha attaccata con un seggiolone, Lele ha zoppicato fino alla camera accanto e ha chiamato la polizia. Quando sono arrivati, hanno documentato l’attacco ma non hanno intrapreso nessun’azione ulteriore. Poi, ha chiamato un avvocato e fatto domanda per divorzio –solo per scoprire che l’epidemia aveva chiuso anche quella via d’uscita. La procedura per il suo divorzio è stata posticipata a questo mese. Sta ancora aspettando la decisione della corte. E trovare una casa durante l’epidemia si è dimostrato difficile, forzando Lele e sua figlia a rimanere con il loro abusatore per settimane. 

È uno modello che si sta verificando in tutto il mondo. Le instituzioni che dovrebbero difendere le donne dalla violenza domestica, molte deboli e con fondi insufficienti, si stanno sforzando per rispondere alla sovraffollata domanda. Feng Yuang, una fondatrice di Equality, il gruppo cinese della difesa, ha detto che una cliente ha chiamato un numero di emergenza solo per sentirsi dire che la polizia era troppo sovraccarica per aiutarla. “Possiamo venire da te quando la crisi sarà finita”, le ha detto l’operatore. 

In Europa, un Paese dopo l’altro sembra aver seguito lo stesso cupo cammino: prima, i governi impongono il confinamento senza dare disposizioni sufficienti per le vittime di abuso domestico. Circa 10 giorni fa, le chiamate d’urgenza hanno riavuto un picco, facendo scattare una protesta pubblica. Solo in quel momento i governi hanno iniziato ad improvvisare delle soluzioni.

L’Italia è stata la prima. Il suo lockdown è iniziato nei primi di marzo. Sin da subito, i report di violenza domestica sono aumentate, ma non c’era nessun posto dove le vittime potessero andare.  I ricoveri non le potevano prendere perché il rischio di infezione era troppo alto. Il governo ha quindi detto che le autorità locali potevano richiedere alle stanze d’hotel di fornire un servizio improvvisato per accogliere le vittime di violenza. La Spagna ha annunciato il suo lockdown il 14 marzo; la Francia tre giorni dopo. 

Circa due settimane dopo, con i report di abusi in impennata, gli ufficiali hanno annunciato che anche loro offriranno dei servizi di ricovero negli hotel, insieme adaltri sforzi di emergenza. 

In Gran Bretagna, le autorità hanno aspettato ancor di più prima di imporre il lockdown. 10 giorni prima che le misure iniziarono ad essere applicate il 23 marzo, il New York Times ha contattato il ministero degli interni riguardo a quello che intendeva fare a proposito delle violenze domestiche. La risposta: solo, “fonti già esistenti di consiglio e supporto” sarebbero disponibili. Il governo ha poi pubblicato una lista di hotlines e app che le vittime potrebbero usare in caso di necessità, ma solo una era fatta su misura per la crisi del Covid-19.

Da una settimana in confinamento, Avon e Sormset, nel sud-ovest del Paese, dicono che i casi di abuso domestico sono già al 20%. La scorsa settimana, dopo che una dozzina di gruppi civili hanno firmato una lettera per chiamare il governo all’azione, gli agenti hanno promesso di rispondere, senza offrire dettagli. “Supportare le vittime degli abusi domestici è una priorità per il ministro dell’interno, ed è consapevole a pieno dell’angoscia e dell’ansia che questo periodo può causare alle vittime di violenza”, ha detto il Ministero degli interni in un comunicato. “Stiamo lavorando con la polizia, associazioni benefiche, linee di emergenza e aiuto e i lavoratori in prima linea per aiutare e proteggere le persone”, dice il Ministero dell’ Interno in un comunicato. Ha anche detto che ” le vittime possono trascurare le misure se per andar alla ricerca di un rifugio immediato”. Ad un certo punto, il lockdown finirà. Ma, fino a quando continua, il pericolo sembra intensificarsi. Gli studi dimostrano che gli abusatori sono più propensi a uccidere i partener dopo crisi personali , come problemi finanziari o la perdita di lavoro. Con il Covid-19 che sta devastando l’economia, queste crisi saranno molto più frequenti. (riproduzione riservata)

Il report ha avuto il contributo di Raphael Minder dalla Spagna, Vivian Wang da Hong Kong, ConstantMéheut dalla Francia e Elisabetta Povoledo dall’Italia.

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