Di Rocco Gaeta

Inutile girarci attorno. Meglio dire le cose come stanno: in Europa c’è il rischio del ritorno del fascismo. Nei gesti di tutti giorni, nella società, in politica, sui social, persino nelle chat, emerge con prepotenza la voglia di contrastare con violenza chi non la pensa come noi, mettere all’indice chi si oppone, dileggiare chi è diverso. Per ora a parole, poi chissà. Se ne è accorto, a suo modo, persino un tedesco. La Germania è il paese che più ha guadagnato con l’avvento della moneta unica, tanto che oggi tutte le sue esportazioni valgono più di quelle di Gran Bretagna, Francia e Russia messe assieme. Eppure Sigmar Gabriel, vicecancelliere, ministro dell’Economia e leader della Spd, ha dovuto ammettere che non conta solo il rigore di bilancio. ‘’Con la cieca austerità una spaccatura nella Ue non è più impensabile’’, ha detto al Der Spiegel, ‘’gli strenui, duri sforzi di paesi come Francia e Italia di ridurre i loro deficit e debiti sovrani hanno aperto spazi anche a rischi politici’’. Gabriel ha capito che è meglio concedere mezzo punto di sforamento in più a Parigi piuttosto che trovarsi Marine Le Pen all’Eliseo.

Ecco perché tutte le attenzioni e gli sforzi dei pochi e intimoriti europeisti rimasti vanno concentrati sulla Francia. E’ lì, con le prossime elezioni presidenziali, che si annida la fine dell’Europa. D’altronde, non sono partite tutte da questo splendido e libero il paese le ultime rivoluzioni, il pensiero libero, la dichiarazione dei diritti dell’uomo? Oggi, un po’ meno libero. Francois Hollande si incontra con il capo di J.P. Morgan Chase, secondo il Wall Street Journal, per attrarre capitali con l’esecuzione della Brexit, dimenticando completamente che la missione della sinistra sarebbe ben altra; il partito socialista è relegato ad un ruolo di comprimario alle prossime consultazioni, nella speranza che il leader dei Republicains, Francois Fillon, riesca nell’impresa che fu del destrorso Chirac, di battere di nuovo Le Pen, stavolta defasticizzata ed integrata nel tessuto sociale; a Nizza, dopo l’attentato del 14 luglio e tre mesi di deserto turistico, ci si dimentica la notte di Capodanno di piantonare per strada con uomini armati la discoteca più importante della Promenade, mentre a Istanbul un suolo uomo porta in un locale analogo terrore e morte. Il paese più colpito dalle stragi jihadiste è in stato confusionale, perfettamente descritto da una grande scrittrice. Annie Ernaux, nel suo ultimo libro manifesto, Gli anni, tratteggia così la terra di Marianna. ‘’Ritornava  la religione, ma non era la nostra, quella in cui non credevamo più, che non avevamo voluto trasmettere, e che in fondo restava l’unica realmente legittima, la migliore, se si fossero dovute classificare. La distinzione tra i cittadini di ceppo francese, espressione che bastava a spiegar tutto, l’albero, la terra, e i figli dell’immigrazione non cambiava. Quando il Presidente della Repubblica faceva riferimento in un suo discorso al popolo francese era chiaro che intendesse un’entità che non includeva la Fatima, gli Ali e i Boubacar, chi faceva la spesa al reparto halal dei supermercati e che osservava il ramadan. E ancor meno i giovani delle banlieu’’. La letteratura arriva prima delle cronache, che raccontano oggi di un paese integrato, diviso ma allo stesso modo indivisibile (quante coppie miste di seconda generazione), impaurito, pieno di telecamere e metal detector, come quelli piazzati davanti al mercatino di Natale di Nizza, a pochi passi dallo straziante mausoleo ai bambini uccisi dal camion bianco. Le parole di una scrittrice illustrano meglio la realtà dei grafici del debito pubblico che cresce tanto da far minacciare alle agenzie di rating il taglio della doppia A, delle previsioni di un’economia senza infamia e senza lode per chi vive di grandeur perduta: disoccupazione al 9,9%, crescita all’1,3%, inflazione all’1,2%, consumi in calo.
Se uno volesse però davvero capire il tempo che fa in Francia, dovrebbe sovrapporre le piantine del tasso di disoccupazione nelle varie regioni con la distribuzione del voto alle ultime amministrative: le aree dove è più alto dal 10 ad oltre il 13%, sono quelle dove il Front National ha fatto il pieno di voti, poche quelle che tendono al rosa, le stesse dove la sinistra regge, a partire dalla Parigi urbana.
Negli ultimi anni molti tra coloro che si sono contesi la presidenza hanno usato nei loro slogan il termine ‘’forte’’ o altre sue declinazioni. ‘’La force tranquille’’ (Francois Mitterand), ‘’Il faut une France forte’’ (Valery Giscard D’Estaing), ‘’La France forte’’ (Nicolas Sarkozy). Due, invece, hanno usato una parola semplice: presidente. Jean Marie Le Pen e Ségolène Royale. Un fascista e una donna socialista. Quest’anno genere e genia potrebbero sovrapporsi in un successo che va evitato assolutamente. Non soltanto per tranquillizzare la Spd di Gabriel ma per il bene di tutti gli europei che cominciano ad apprezzare i frutti avvelenati dei nuovi autoritarismi.